Toscana

Orari negozi liberalizzati, sentenza Consulta mette a rischio i piccoli

La Corte Costituzionale, con la sentenza 299/2012, ha dichiarato «non fondate le questioni di legittimità costituzionale» relative alla deregulation degli orari e aperture inserite nel decreto «Salva Italia» del Governo. Sono stati così rigettati i ricorsi in materia presentati nei mesi scorsi dalle Regioni Toscana, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Sardegna, Sicilia, Lombardia e Piemonte. Di fatto, dunque, la Corte conferma la legittimità della normativa attualmente in vigore, che non stabilisce alcun limite agli orari, né alle aperture festive.

«Le sentenze della Consulta si rispettano e si applicano. Ma nessuno ci potrà impedire di pensare che la liberalizzazione completa degli orari è un tributo irrispettoso all’identità storica e alle tradizioni,  che colpisce i diritti dei lavoratori e favorisce la grande distribuzione a danno del piccolo commercio». Così il presidente Enrico Rossi ha commentato la notizia. «Ci auguriamo che il prossimo governo possa ristabilire un minimo di regole, condivise con le Regioni, gli enti locali e con le associazioni di categoria».

Ma da parte di Confindustria Toscana arriva l’allarme. Il piccolo commercio rischia di scomparire, schiacciato dai colossi della grande distribuzione pronti a sacrificare giorni di riposo e a procedere a colpi di aperture no stop nella disperata caccia al cliente. Cosa che gran parte degli esercizi commerciali non sono in grado di fare. 
«Con il dispositivo della Corte Costituzionale e l’applicazione del decreto ‘Salva Italia’ – commenta il presidente di Confcommercio Toscana, Stefano Bottai – si pregiudicheranno la salvaguardia dei centri storici e la funzione sociale dei negozi di vicinato, con ricadute negative sia sul piano della vita delle città che su quello della sicurezza dei cittadini. Un atto che Confcommercio percepisce come una prevaricazione dei centralismi sulle competenze regionali».

«Rispettiamo la sentenza – aggiunge il presidente di Confcommercio – ma riteniamo che così non si vada nella direzione di garantire la vera libertà di concorrenza, perché solo alcuni gruppi organizzati si possono permettere questo tipo di aperture. Quello che più preoccupa è cosa potrà accadere in futuro: tutto, a questo punto, può essere interpretato e stravolto. I consumatori rischiamo di perdere quel servizio fondamentale rappresentato dai negozi di vicinato, mentre i titolari, costretti a sostenere costi e problemi gestionali per adeguarsi ad una, a questo punto inutile, liberalizzazione, e i dipendenti, chiamati a sacrificare il loro riposo festivo, rischiano invece il posto di lavoro».