Toscana

Una disattenzione sulla strada e scoppia il dramma

di Massimo Orlandi

«Vuoi che ti accompagni a scuola?» «No, grazie papà, stamani vado col motorino». È un giorno di tarda primavera e l’uragano che cova non lancia segnali. Il latte da bere di corsa, lo zaino per i libri, il saluto di ogni mattina. Non sai che a quell’intimità quotidiana resta lo spazio di pochi tornanti. L’uragano che sconvolge la tua vita si mostra impietoso mentre percorri la stessa strada, a distanza di pochi minuti. Non ci sono occhi per quello che vedi. Non ci sono parole dentro quell’urlo.

Francesco e i suoi 17 anni erano in quel vortice che è appena passato e che non hai potuto prevedere, né fermare. «È accaduto sulla Faentina, a due passi dalla nostra casa alle Caldine – ricorda Lorenzo Caffè – Una macchina gli è apparsa davanti all’improvviso: forse la conducente aveva intravisto un parcheggio ed è entrata nella corsia che lui stava percorrendo».

Lorenzo, giornalista, ormai da molti anni a Firenze, si siede accanto al fiume di questi sette anni. Tanti sono passati dall’incidente. E non solo li vede, ma riesce a contare anche i giorni, uno ad uno. Specie i primi. Infiniti. «Il primo anno è stato durissimo. Ero disperato. Spesso ci domandavamo con mia moglie: ma come facciamo ad arrivare sino a stasera?». Il dolore di un padre è quello di una madre, Federica, e degli altri due figli, Valentina, la maggiore, e Jacopo, il più piccolo. Essere una famiglia unita non lenisce il dolore, ma alla lunga aiuta ad affrontarlo: «È stato difficile, specie all’inizio, perché ogni gesto del quotidiano ci riportava a Francesco. Poi pian piano siamo riusciti a recuperare i nostri spazi familiari, accompagnati dalla consapevolezza che non avremmo potuto sostituire Francesco con nulla, ma che dovevamo accettare di convivere con quel vuoto».

La sofferenza è una scorciatoia efficace per capire ciò in cui crediamo davvero. È la fede, nel fiume che continua a scorrere, a rendere l’acqua meno gelata, e l’aria di nuovo respirabile: «Ho cercato tanto, persone, percorsi, strade diverse che mi potessero aiutare; poi, insieme a Federica, abbiamo incontrato l’esperienza della Fraternità di Romena e del gruppo Nain, composto da tante famiglie che hanno vissuto la nostra stessa tragica esperienza. Il rapporto con don Luigi Verdi, il responsabile della Fraternità, ci ha aiutato a far sedimentare quel dolore, a iniziare la difficile opera di ricostruzione interiore. Ma fondamentale è stata anche la condivisione con gli altri genitori: il gruppo ci ha consentito di buttar giù le maschere, di sentirci capiti e di poter capire. L’amore gratuito che ricevo ogni volta che ci vediamo è un dono straordinario».

Il fiume ora trasporta qualcosa di sfuggente, che non puoi fermare, è l’indescrivibile sensazione di potersi fidare di qualcosa, di qualcuno: «La mia fede in Dio mi dice che nulla avviene a caso, che c’è un significato anche se spesso è davvero difficile da comprendere. Questa accettazione di quello che è avvenuto non è mai certa, mai definitiva, sempre soggetta a momenti di crisi, ma intanto è un primo passo, che mi permette di vivere un po’ meglio».

Il nome di Francesco è oggi anche quello di una fondazione che prova a recuperarne la gioia di vivere per tradurla in azioni di aiuto. «Abbiamo cercato di fare piccole azioni concrete sia sul territorio, con l’acquisto di attrezzature per gli ospedali locali, sia per “la casa della compassione” di Katmandu, in Nepal. Ma abbiamo anche rivolto molta attenzione al tema della sicurezza stradale. In questo momento stiamo sostenendo il lavoro di una equipe di psicologi che mettono al centro del loro lavoro i giovani, i loro disagi, le motivazioni di certe azioni a volte inconsapevolmente pericolose, per arrivare a fare opera di prevenzione degli incidenti». «Mi colpisce – sottolinea Lorenzo – come certe disattenzioni, in macchina, in moto, possano avere effetti così sproporzionati. Spesso sono errori banali, che ciascuno di noi può compiere. Ma il prezzo che si paga è altissimo».

Firenze, una libro e borse di studio in ricordo di due sorelle Una fondazione in memoria di Elisabetta e Mariachiara, e magari anche una casa loro dedicata «dove in qualsiasi momento dell’anno si possa respirare «aria di Natale», dove si possa sempre trovare calore umano, speranza, amore», denunciando, al tempo stesso, «ogni tipo di violenza, di sfruttamento, di attentato alla vita umana». È il grande progetto di Doretta Boretti, la madre delle due ragazze decedute nel novembre 2004 a Firenze assieme ad altre due persone nel più grave incidente stradale mai avvenuto in città. L’idea era quella di destinarvi da subito i proventi della vendita di «Sarà sempre Natale», il suo recente libro recensito su Toscanaoggi n. 2 del 14 gennaio a pagina 14, ma ora Doretta sta pensando, come primo passo, di aprire un sito internet e poi magari di aiutare qualche istituto per anziani. «Educare all’amore per la vita» è comunque l’impegno che questa coraggiosa madre si è ripromessa dopo la morte delle figlie, e per il quale porta avanti la propria vocazione di scrittrice. «Con la fondazione dovrebbero nascere – spiega – borse di studio per studenti bisognosi e meritevoli che si impegnino nell’ambito giuridico e psicologico nei confronti della tutela, del miglioramento della vita e dell’amore per essa. Inoltre, su questo tema, vorrei organizzare concorsi letterari a livello scolastico e non, concorsi di pittura, scultura, musica, arte varia nonché spettacoli teatrali d’avanguardia». Attualmente, Doretta è ospite fissa della trasmissione radiofonica «Un laboratorio per la vita», in onda tutti i lunedì dalle 11 alle 12 su Radio Voce della Speranza (Rvs 92,4 MHz), l’emittente della Chiesa cristiana avventista del settimo giorno. Chi volesse ricevere il libro di Doretta Boretti in contrassegno contribuendo così alla realizzazione del suo progetto, può richiederlo all’indirizzo elischia@inwind.it.