Vita Chiesa

BENEDETTO XVI: GIOVEDÌ SANTO, «ESSERE SACERDOTE SIGNIFICA DIVENTARE AMICO DI GESÙ»;

“Essere sacerdote significa diventare amico di Gesù Cristo, e questo sempre di più con tutta la nostra esistenza”. Celebrando questa mattina la Messa Crismale nella Basilica Vaticana, il Papa ha riassunto in queste parole l’essenza del sacerdozio, nel giorno in cui la Chiesa ne celebra tradizionalmente l’istituzione, insieme a quella dell’Eucaristia. “Il mondo ha bisogno di Dio”, ha proseguito il Pontefice presiedendo il primo dei riti del Giovedì Santo: “non di un qualsiasi dio, ma del Dio di Gesù Cristo, del Dio che si è fatto carne e sangue, che ci ha amati fino a morire per noi, che è risorto e ha creato in se stesso uno spazio per l’uomo. Questo Dio deve vivere in noi e noi in Lui. È questa la nostra chiamata sacerdotale: solo così il nostro agire da sacerdoti può portare frutti”.

Benedetto XVI ha concluso la sua omelia citando “una parola di Andrea Santoro, di quel sacerdote della Diocesi di Roma che è stato assassinato a Trebisonda mentre pregava”, comunicata al Santo Padre e ai cardinali dal card. Marco Cé, patriarca emerito di Venezia, durante gli esercizi spirituali di questa Quaresima: “Sono qui per abitare in mezzo a questa gente e permettere a Gesù di farlo prestandogli la mia carne”, è la frase di don Andrea citata dal Papa, che prosegue: “Si diventa capaci di salvezza solo offrendo la propria carne. Il male del mondo va portato e il dolore va condiviso, assorbendolo nella propria carne fino in fondo come ha fatto Gesù”. “Gesù ha assunto la nostra carne. Diamogli noi la nostra, in questo modo Egli può venire nel mondo e trasformarlo”, è il commento finale di Benedetto XVI. “Senza il vivente soggetto della Chiesa che abbraccia le età, la Bibbia si frantuma in scritti spesso eterogenei e diventa così un libro del passato”. Lo ha detto il Papa, sviluppando il tema dell'”amicizia con Gesù”, al centro dell’omelia della Messa crismale del Giovedì Santo. “L’amicizia con Gesù – ha spiegato il Santo Padre riferendosi all’istituzione del sacerdozio – è per antonomasia sempre amicizia con i suoi. Possiamo essere amici di Gesù soltanto nella comunione con il Cristo intero, con il capo e il corpo; nella vite rigogliosa della Chiesa animata dal suo Signore. Solo in essa la Sacra Scrittura è, grazie al Signore, Parola viva e attuale”.

“Non vi chiamo più servi, ma amici”: in queste parole del Vangelo di Giovanni (Gv 15,15), citate a più riprese durante l’omelia, “si potrebbe addirittura vedere l’istituzione del sacerdozio. E’ questo il significato profondo dell’essere sacerdote: diventare amico di Gesù Cristo. Il nucleo del sacerdozio è l’essere amici di Gesù Cristo. Essere amico di Gesù, esser sacerdote significa essere uomo di preghiera”.

Di quel “mistero commovente” che è l’istituzione del ministero sacerdotale “fa parte anche il potere di assolvere”, che “ci fa partecipare anche alla sua consapevolezza riguardo alla miseria del peccato e a tutta l’oscurità del mondo e ci dà la chiave nelle mani per riaprire la porta verso la casa del Padre”. Nella prima parte dell’omelia della Messa crismale del Giovedì Santo, il Papa si è soffermato sui “segni” che caratterizzano il sacramento del sacerdozio, tra cui il “gesto antichissimo” dell’imposizione delle mani, che “riassume un intero percorso esistenziale”. Come quello di Pietro, che quando “improvvisamente si è accorto che l’acqua non lo sosteneva e che stava per affondare” ha gridato “Signore, salvami!”. “Come Pietro – ha commentato il Santo Padre abbiamo gridato: “Signore, salvami!” (Mt, 14, 30). Vedendo tutto l’infuriare degli elementi, come potevamo passare le acque rumoreggianti e spumeggianti del secolo scorso e dello scorso millennio? Ma allora abbiamo guardato verso di Lui… ed Egli ci ha afferrati per la mano e ci ha dato un nuovo ‘peso specifico’: la leggerezza che deriva dalla fede e che ci attrae verso l’alto”.

“Fissiamo sempre di nuovo il nostro sguardo su di Lui e stendiamo le mani verso di Lui”, è l’invito del Santo padre ai sacerdoti: “Lasciamo che la sua mano ci prenda, e allora non affonderemo, ma serviremo la vita che è più forte della morte, e l’amore che è più forte dell’odio”. Sir

Omelia della Messa Crismale (13 aprile 2006)