Vita Chiesa

Giornata mondiale poveri, Papa: «Vivere la fede a contatto coi bisognosi non è la moda di un pontificato»

«Noi non viviamo per accumulare, la nostra gloria sta nel lasciare quel che passa per trattenere ciò che resta». Lo ha detto il Papa, nell’omelia della Messa per la seconda Giornata mondiale dei poveri, nella basilica di San Pietro alla presenza di 6mila poveri, insieme ai volontari che li accompagnano e ad esponenti delle numerose realtà caritative che li assistono quotidianamente. Nell’omelia, Francesco ha chiesto di «assomigliare alla Chiesa descritta nella prima Lettura: sempre in movimento, esperta nel lasciare e fedele nel servire». «Destaci, Signore, dalla calma oziosa, dalla quieta bonaccia dei nostri porti sicuri», la prima preghiera del Papa: «Slegaci dagli ormeggi dell’autoreferenzialità che zavorra la vita, liberaci dalla ricerca dei nostri successi. Insegnaci a saper lasciare per impostare la rotta della vita sulla tua: verso Dio e verso il prossimo». Gesù, ha esordito Francesco sulla scorta del Vangelo di Matteo, «lascia la folla nel momento del successo, quand’era acclamato per aver moltiplicato i pani. Mentre i discepoli volevano godersi la gloria, subito li costringe ad andarsene e congeda la folla. Cercato dalla gente, se ne va da solo; quando tutto era ‘in discesa’, sale sul monte a pregare. Poi, nel cuore della notte, scende dal monte e raggiunge i suoi camminando sulle acque agitate dal vento».

«In tutto Gesù va controcorrente», il commento del Papa: «Prima lascia il successo, poi la tranquillità. Ci insegna il coraggio di lasciare: lasciare il successo che gonfia il cuore e la tranquillità che addormenta l’anima». «Per andare dove?», si è chiesto Francesco: «Verso Dio, pregando, e verso chi ha bisogno, amando», la risposta: «Sono i veri tesori della vita: Dio e il prossimo. Salire verso Dio e scendere verso i fratelli, ecco la rotta indicata da Gesù». Gesù, ha spiegato il Papa, «ci distoglie dal pascerci indisturbati nelle comode pianure della vita, dal vivacchiare oziosamente tra le piccole soddisfazioni quotidiane. I discepoli di Gesù non sono fatti per la prevedibile tranquillità di una vita normale. Come il loro Signore vivono in cammino, leggeri, pronti a lasciare le glorie del momento, attenti a non attaccarsi ai beni che passano. Il cristiano sa che la sua patria è altrove, sa di essere già ora – come ricorda l’Apostolo Paolo nella seconda Lettura – ‘concittadino dei santi e familiare di Dio’. È un viandante agile dell’esistenza».

«Solo Gesù, vince i nostri grandi nemici: il diavolo, il peccato, la morte, la paura, la mondanità». Ne è convinto il Papa, che nell’omelia ha citato le parole di Gesù ai suoi discepoli, in piena tempesta: «Coraggio, sono io, non abbiate paura». «La barca della nostra vita è spesso sballottata dalle onde e scossa dai venti, e quando le acque sono calme presto tornano ad agitarsi», la metafora scelta da Francesco sulla scorta del Vangelo: «Allora ce la prendiamo con le tempeste del momento, che sembrano i nostri unici problemi. Ma il problema non è la tempesta del momento, è in che modo navigare nella vita». «Il segreto del navigare bene è invitare Gesù a bordo», ha spiegato il Papa: «Il timone della vita va dato a Lui, perché sia Lui a gestire la rotta. Solo Lui infatti dà vita nella morte e speranza nel dolore; solo Lui guarisce il cuore col perdono e libera dalla paura con la fiducia». «Invitiamo oggi Gesù nella barca della vita», l’esortazione ai 6mila poveri presenti in basilica: «Come i discepoli sperimenteremo che con Lui a bordo i venti si calmano e non si fa mai naufragio. Ed è solo con Gesù che diventiamo capaci anche noi di rincuorare». «C’è grande bisogno di gente che sappia consolare, ma non con parole vuote, bensì con parole di vita», ha ammonito Francesco: «Nel nome di Gesù si dona vera consolazione. Non gli incoraggiamenti formali e scontati, ma la presenza di Gesù ristora». «Rincuoraci, Signore: consolati da te, saremo veri consolatori per gli altri», la seconda preghiera dell’omelia.

«Vivere la fede a contatto coi bisognosi è importante per tutti noi. Non è un’opzione sociologica, non è la moda di un pontificato», ha puntualizzato o il Papa, soffermandosi sulla povertà come paradigma del cristiano. «È riconoscersi mendicanti di salvezza, fratelli e sorelle di tutti, ma specialmente dei poveri, prediletti dal Signore», ha spiegato: «Così attingiamo lo spirito del Vangelo: ‘Lo spirito di povertà e d’amore – dice il Concilio – è infatti la gloria e il segno della Chiesa di Cristo’». Gesù, nel mezzo della tempesta, «tende la mano», ha sottolineato Francesco: «Afferra Pietro che, impaurito, dubitava e, affondando, gridava: ‘Signore, salvami!’». «Possiamo metterci nei panni di Pietro», l’invito: «Siamo gente di poca fede e siamo qui a mendicare la salvezza. Siamo poveri di vita vera e ci serve la mano tesa del Signore, che ci tiri fuori dal male. Questo è l’inizio della fede: svuotarsi dell’orgogliosa convinzione di crederci a posto, capaci, autonomi, e riconoscerci bisognosi di salvezza. La fede cresce in questo clima, un clima a cui ci si adatta stando insieme a quanti non si pongono sul piedistallo, ma hanno bisogno e chiedono aiuto».

«Gesù ha ascoltato il grido di Pietro. Chiediamo la grazia di ascoltare il grido di chi vive in acque burrascose». Nella parte finale dell’omelia il Papa ha esortato ad ascoltare il loro grido. «È il grido strozzato di bambini che non possono venire alla luce, di piccoli che patiscono la fame, di ragazzi abituati al fragore delle bombe anziché agli allegri schiamazzi dei giochi», ha detto stilando un lungo elenco: «È il grido di anziani scartati e lasciati soli. È il grido di chi si trova ad affrontare le tempeste della vita senza una presenza amica. È il grido di chi deve fuggire, lasciando la casa e la terra senza la certezza di un approdo. È il grido di intere popolazioni, private pure delle ingenti risorse naturali di cui dispongono. È il grido dei tanti Lazzaro che piangono, mentre pochi epuloni banchettano con quanto per giustizia spetta a tutti».

«L’ingiustizia è la radice perversa della povertà», le parole di Francesco, secondo il quale «il grido dei poveri diventa ogni giorno più forte, ma ogni giorno meno ascoltato, sovrastato dal frastuono di pochi ricchi, che sono sempre di meno e sempre più ricchi». «Davanti alla dignità umana calpestata spesso si rimane a braccia conserte oppure si aprono le braccia, impotenti di fronte all’oscura forza del male», il monito del Papa: «Ma il cristiano non può stare a braccia conserte, indifferente, o a braccia aperte, fatalista, no. Il credente tende la mano, come fa Gesù con lui». «Presso Dio il grido dei poveri trova ascolto, ma in noi?», il suggerimento per l’esame di coscienza individuale: «Abbiamo occhi per vedere, orecchie per sentire, mani tese per aiutare?». «Cristo stesso, nella persona dei poveri reclama come a voce alta la carità dei suoi discepoli», ha ribadito Francesco: «Ci chiede di riconoscerlo in chi ha fame e sete, è forestiero e spogliato di dignità, malato e carcerato». «Guardiamo alle nostre giornate: tra le molte cose, facciamo qualcosa di gratuito, qualcosa per chi non ha da contraccambiare?», l’invito finale: «Quella sarà la nostra mano tesa, la nostra vera ricchezza in cielo». «Tendi la mano a noi, Signore, e afferraci. Aiutaci ad amare come ami tu. Insegnaci a lasciare ciò che passa, a rincuorare chi abbiamo accanto, a donare gratuitamente a chi è nel bisogno», la terza preghiera dell’omelia.