Vita Chiesa

Muto o preverbale? «Chiamatemi per nome»

DI DON FRANCESCO SENSINISi tratta di un ulteriore passo avanti compiuto dal nostro paese verso una sempre migliore tutela e verso la completa e sostanziale equiparazione di tutti i cittadini».Vi sfido, se non lo sapete, ad indovinare di che cosa si tratta. Dimenticate per un momento il vostro colore politico e provate a pensare senza pregiudizi. Siamo nel campo economico? Tutti finalmente pagheranno le tasse? Siamo nel campo della giustizia? Finalmente i cattivi pagheranno e i buoni saranno premiati?

No! siamo semplicemente nel campo delle parole. D’ora in poi in tutti i documenti pubblici il termine sordomuto sarà cancellato e sostituito da «sordo preverbale».

Rimango veramente senza parole (muto o preverbale?) e non vorrei mancare di rispetto verso le associazioni che pare abbiano chiesto questo. Così la parola «sordomuto» non avrà più quella connotazione negativa e a volte offensiva. Ma basta cambiare parola per non essere offesi? Basta un linguaggio diverso per migliorare il cuore e il cervello degli uomini? Non voglio certo minimizzare la grande forza educativa delle parole.

Lo sanno benissimo quei politici che per far passare l’eutanasia come un diritto parlano di: «Disposizioni in materia di interruzione volontaria alla sopravvivenza».Riconosco anche la necessità di un nuovo linguaggio per favorire la comunicazione tra le generazioni. Una mattina, a scuola, ho detto ai miei studenti delle superiori, che avrei parlato di «luoghi comuni». E alla domanda sapreste dirmi quale è un luogo comune? ho ottenuto queste risposte: l’ospedale, la stazione, lo stadio e anche la discoteca!Le parole… L’evangelista Giovanni sintetizza il Natale con questa espressione: Et verbum caro factum est! E il verbo (la parola) si fece carne! La parola che si è fatta carne è lo stesso Dio. È la sua vita («Io Sono») che ci tutela e ci equipara. È il suo nome nuovo (Gesù) che ci rende tutti «degni».

Lasciamoci augurare Buon Natale dalle parole di un papà di una bambina, secondo noi, sfortunata. «Chiamatemi per nome. Anch’io ho un volto, un sorriso, un pianto una gioia da condividere. Anch’io ho pensieri , fantasia, voglia di volare. Chiamatemi per nome, non più portatore di handicap, disabile, handicappato, cieco sordo, cerebroleso, spastico, tetraplegico. Forse usate chiamare gli altri: “portatori di occhi castani” oppure “inabile a cantare”? Per favore abbiate il coraggio della novità. Abbiate occhi nuovi per scoprire che prima di tutto “io sono”. Chiamatemi per nome».