Vita Chiesa

Papa Francesco: «accogliere, proteggere, promuovere e integrare» è comune risposta a migrazioni forzate

«Un’esortazione apostolica, o magari un Sinodo, sui migranti, i rifugiati e i richiedenti asilo». A chiederlo al Papa è stato monsignor Silvano Tomasi, del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale, aprendo nella Sala Clementina il VI Forum internazionale «migrazioni e pace», organizzato dal citato dicastero pontificio, dallo Scalabrini International Migration Network e dalla Fondazione Konrad Adenauer, sul tema «Integrazione e sviluppo: dalla reazione all’azione». 

Tomasi ha espresso l’auspicio che l’esortazione o il Sinodo «possa diventare un messaggio efficace» per l’Assemblea dell’Onu prevista nel 2018 su questo tema, e l’occasione «per una solidarietà sempre più concreta verso i nostri fratelli e sorelle che sono vittime delle migrazioni forzate». «Con la sua azione e la sua persona – ha detto Tomasi rivolgendosi a Papa Francesco e al suo magistero – lei ha indicato un cammino per la comunità internazionale», oltre che per la Chiesa, nella direzione di «una governance più rispettosa di ogni persona, per sensibilizzare la cultura pubblica a prevenire lo sradicamento forzato di tante persone dal loro contesto umano».

Quattro verbi per una comune risposta. «L’inizio di questo terzo millennio – ha detto il Papa nel suo discorso ai partecipanti al Forum – è fortemente caratterizzato da movimenti migratori che, in termini di origine, transito e destinazione, interessano praticamente ogni parte della terra». «Purtroppo, in gran parte dei casi, si tratta di spostamenti forzati, causati da conflitti, disastri naturali, persecuzioni, cambiamenti climatici, violenze, povertà estrema e condizioni di vita indegne», la denuncia di Francesco, secondo il quale «è impressionante il numero di persone che migra da un continente all’altro, così come di coloro che si spostano all’interno dei propri Paesi e delle proprie aree geografiche. I flussi migratori contemporanei costituiscono il più vasto movimento di persone, se non di popoli, di tutti i tempi». Di qui la «particolare preoccupazione» del Papa «per la natura forzosa di molti flussi migratori contemporanei, che aumenta le sfide poste alla comunità politica, alla società civile e alla Chiesa e chiede di rispondere ancor più urgentemente a tali sfide in modo coordinato ed efficace». Quattro i verbi su cui, per Francesco, si deve articolare la «comune risposta» a tale fenomeno: «Accogliere, proteggere, promuovere e integrare».

Serve accoglienza diffusa. Di fronte all’«indole del rifiuto» verso i migranti, «radicata in ultima analisi nell’egoismo e amplificata da demagogie populistiche, urge un cambio di atteggiamento, per superare l’indifferenza e anteporre ai timori un generoso atteggiamento di accoglienza verso coloro che bussano alle nostre porte». Ne è convinto il Papa, che nel suo discorso ha affermato che «per quanti fuggono da guerre e persecuzioni terribili, spesso intrappolati nelle spire di organizzazioni criminali senza scrupoli, occorre aprire canali umanitari accessibili e sicuri». «Un’accoglienza responsabile e dignitosa di questi nostri fratelli e sorelle comincia dalla loro prima sistemazione in spazi adeguati e decorosi», ha ammonito Francesco, secondo il quale «i grandi assembramenti di richiedenti asilo e rifugiati non hanno dato risultati positivi, generando piuttosto nuove situazioni di vulnerabilità e di disagio». «I programmi di accoglienza diffusa, già avviati in diverse località, sembrano invece facilitare l’incontro personale, permettere una migliore qualità dei servizi e offrire maggiori garanzie di successo», il plauso del Papa.

No ai trafficanti di carne umana. Francesco ha poi lanciato un grido d’allarme, sulla scorta del suo predecessore: «L’esperienza migratoria rende spesso le persone più vulnerabili allo sfruttamento, all’abuso e alla violenza».  E su migrazioni e pace ha precisato: «Parliamo di milioni di lavoratori e lavoratrici migranti – e tra questi particolarmente quelli in situazione irregolare –, di profughi e richiedenti asilo, di vittime della tratta». «La difesa dei loro diritti inalienabili, la garanzia delle libertà fondamentali e il rispetto della loro dignità sono compiti da cui nessuno si può esimere», l’appello di Francesco, secondo il quale «proteggere questi fratelli e sorelle è un imperativo morale da tradurre adottando strumenti giuridici, internazionali e nazionali, chiari e pertinenti; compiendo scelte politiche giuste e lungimiranti; prediligendo processi costruttivi, forse più lenti, ai ritorni di consenso nell’immediato; attuando programmi tempestivi e umanizzanti nella lotta contro i trafficanti di carne umana che lucrano sulle sventure altrui; coordinando gli sforzi di tutti gli attori, tra i quali, potete starne certi, ci sarà sempre la Chiesa».

Garantire anche il diritto a non emigrare. «Proteggere non basta, occorre promuovere lo sviluppo umano integrale di migranti, profughi e rifugiati». Ne è convinto il Papa, che ai partecipanti al Forum ha ricordato che «lo sviluppo, secondo la dottrina sociale della Chiesa, è un diritto innegabile di ogni essere umano» e come tale «deve essere garantito assicurandone le condizioni necessarie per l’esercizio, tanto nella sfera individuale quanto in quella sociale, dando a tutti un equo accesso ai beni fondamentali e offrendo possibilità di scelta e di crescita». «Anche in questo è necessaria un’azione coordinata e previdente di tutte le forze in gioco», l’appello di Francesco: «Dalla comunità politica alla società civile, dalle organizzazioni internazionali alle istituzioni religiose». «La promozione umana dei migranti e delle loro famiglie – ha denunciato il Papa – comincia dalle comunità di origine, là dove deve essere garantito, assieme al diritto di poter emigrare, anche il diritto di non dover emigrare, ossia il diritto di trovare in patria condizioni che permettano una dignitosa realizzazione dell’esistenza». Per questo, secondo Francesco, «vanno incoraggiati gli sforzi che portano all’attuazione di programmi di cooperazione internazionale svincolati da interessi di parte e di sviluppo transnazionale in cui i migranti sono coinvolti come protagonisti».

Un processo bidirezionale. «L’integrazione, che non è né assimilazione né incorporazione, è un processo bidirezionale, che si fonda essenzialmente sul mutuo riconoscimento della ricchezza culturale dell’altro: non è appiattimento di una cultura sull’altra, e nemmeno isolamento reciproco, con il rischio di nefaste quanto pericolose ghettizzazioni», ha spiegato il Papa soffermandosi sui diritti e doveri reciproci di chi accoglie e di chi è accolto. «Per quanto concerne chi arriva ed è tenuto a non chiudersi alla cultura e alle tradizioni del Paese ospitante, rispettandone anzitutto le leggi, non va assolutamente trascurata la dimensione familiare del processo di integrazione» ha precisato, ribadendo «la necessità di politiche atte a favorire e privilegiare i ricongiungimenti familiari». Per quanto riguarda le popolazioni autoctone, secondo Francesco «vanno aiutate, sensibilizzandole adeguatamente e disponendole positivamente ai processi integrativi, non sempre semplici e immediati, ma sempre essenziali e per l’avvenire imprescindibili». Di qui la necessità di «programmi specifici, che favoriscano l’incontro significativo con l’altro». Per la comunità cristiana, poi, «l’integrazione pacifica di persone di varie culture è, in qualche modo, anche un riflesso della sua cattolicità, giacché l’unità che non annulla le diversità etniche e culturali costituisce una dimensione della vita della Chiesa, che nello Spirito della Pentecoste a tutti è aperta e tutti desidera abbracciare». «Coniugare questi quattro verbi, in prima persona singolare e in prima persona plurale», ha concluso il Papa riferendosi ai quattro verbi che hanno scandito il suo discorso: «Accompagnare, accogliere, promuovere e integrare» – è oggi «un dovere, un dovere nei confronti di fratelli e sorelle che, per ragioni diverse, sono forzati a lasciare il proprio luogo di origine: un dovere di giustizia, di civiltà e di solidarietà».

«Non può un gruppetto di individui controllare le risorse di mezzo mondo. Non possono persone e popoli interi aver diritto a raccogliere solo le briciole». È l’accorato appello contenuto nella parte finale del discorso rivolto dal Papa ai partecipanti al Forum su migrazioni e pace. «Nessuno può sentirsi tranquillo e dispensato dagli imperativi morali che derivano dalla corresponsabilità nella gestione del pianeta, una corresponsabilità più volte ribadita dalla comunità politica internazionale, come pure dal Magistero», ha tuonato Francesco, spiegando che «tale corresponsabilità è da interpretare in accordo col principio di sussidiarietà, che conferisce libertà per lo sviluppo delle capacità presenti a tutti i livelli, ma al tempo stesso esige più responsabilità verso il bene comune da parte di chi detiene più potere». «Fare giustizia – ha spiegato il Papa – significa anche riconciliare la storia con il presente globalizzato, senza perpetuare logiche di sfruttamento di persone e territori, che rispondono al più cinico uso del mercato, per incrementare il benessere di pochi». Citando Benedetto XVI, Francesco ha ricordato che «il processo di decolonizzazione è stato ritardato sia a causa di nuove forme di colonialismo e di dipendenza da vecchi e nuovi Paesi egemoni, sia per gravi irresponsabilità interne agli stessi Paesi resisi indipendenti». «A tutto ciò bisogna riparare», il monito all’insegna del «dovere di giustizia»: «Non sono più sostenibili le inaccettabili disuguaglianze economiche, che impediscono di mettere in pratica il principio della destinazione universale dei beni della terra. Siamo tutti chiamati a intraprendere processi di condivisione rispettosa, responsabile e ispirata ai dettami della giustizia distributiva».