Vita Chiesa

Proviamo a guardare il crocifisso

La Quaresima ci porta inevitabilmente a passare, e forse a sostare, per qualche momento sotto la croce. Quella croce, alla quale da secoli la nostra pietà culturale ci ha abituati e resi ormai familiari, in modo che non ci sentiamo più tanto a disagio davanti a quel corpo piagato, appeso e ormai esanime, raffigurato nel momento della morte, ratificata dal costato trafitto. Eppure comprendo bene l’orrore che altre culture e religioni possono provare davanti al crocifisso, e anzi mi colpisce sempre, e mi questiona, la nostra ormai definitiva tranquilla accettazione dell’obbrobrio e dell’ignominia della croce (Gal 5,11; Eb 12,2; 13,13).

Abbiamo fatto battaglie finanche giuridiche ed istituzionali per mantenere in alcuni luoghi pubblici il crocifisso, quale segno della nostra cultura cristiana, in continuità con la storia del nostro pensiero e delle nostre radici, che come italiani sono innegabilmente cristiane, eppure mi pare che questo accorarsi e battagliare sia ancora troppo lontano dal riconoscere realmente il valore inestimabile della croce. E mi sembra che dare al crocifisso soprattutto un valore culturale sia davvero non solo troppo poco, ma anche di cattivo gusto, dato che la nostra arte raffigura non già un Cristo tunicato nella gloria della sua regalità, come la sensibilità orientale in molti esempi ha prodotto, ma un Uomo colpito da i più atroci supplizi, seminudo nel pallore della morte, rigato da lacrime e sangue, con gli occhi ormai chiusi alla luce della vita.

Solo la fede rende al Crocifisso la ragione della sua intramontabile bellezza: davanti a questo «spettacolo», come lo chiama S. Luca (cfr. 23,48: intendendo con «theoria» non solo il guardare, ma soprattutto il fare esperienza attraverso il vedere) o con verità ci copriamo la faccia, provando una naturale comprensibile repulsione che ci difende dalla provocazione, oppure accettiamo di lasciarci coinvolgere dal mistero di amore e di dolore che da esso con forza si irradia. Per questo il Crocifisso – e allo stesso modo la Croce – non può essere un «simbolo», né politico, né culturale, e neanche religioso: perché è un Evento in atto, vero e proprio sacramento della nostra salvezza, che in ogni momento della vita ci raggiunge e ci interpella. Colui che sta davanti a me con le braccia allargate, e inchiodate in eterno, in una posizione di estrema impotenza e nello stesso tempo di infinita e disponibilissima accoglienza, è una Persona che mi riguarda: Gesù, il Signore, Colui che per la mia felicità eterna ha già compiuto tutto ciò che c’era da compiere, ha già offerto tutto ciò che c’era da dare …. e ora mi chiede di crederci e di accettare il dono.a cura delle Clarisse di San Casciano Val di Pesa