Vita Chiesa
«Ai giovani serve il coraggio di dire sì a Dio»
«Mi fido di te»: è questo il tema del pellegrinaggio internazionale che in questi giorni porta a Roma seminaristi, novizi e novizie, giovani che cercano di scoprire la propria vocazione. Un evento organizzato nell’Anno della Fede che domenica si conclude con la Messa celebrata da Papa Francesco e la partecipazione all’Angelus.
Coordinatore di questo evento internazionale è l’arcivescovo di Lucca, Benvenuto Italo Castellani, che è anche presidente del Centro Nazionale Vocazioni: a lui abbiamo chiesto di illustrarci il significato di questo pellegrinaggio.
Qual è il senso di questo appuntamento? Quali sono i temi che vengono affrontati?
«È una proposta -a quanti nella Chiesa universale stanno rispondendo alla vocazione al presbiterato e ad una vocazione di speciale consacrazione nella vita religiosa e missionaria- a confermarsi nella fede e ad una profonda esperienza di fede scandita dalla preghiera, con al centro la celebrazione della fede nella Liturgia, e in particolare nell’Eucaristia. Scorrendo il programma che scandisce questi giorni balza in evidenza come il pellegrinaggio sia un tuffo nella vita della Chiesa, una esperienza di universalità, nell’incontro con giovani in formazione vocazionale provenienti da ogni angolo della terra, chiamati a condividere il proprio cammino vocazionale e ad offrire ai propri coetanei una nitida testimonianza vocazionale: la testimonianza del proprio “Eccomi” a donare la loro vita a servizio dell’annuncio del Vangelo e a servizio degli ultimi -i “più piccoli” del Vangelo- nella scelta radicale di una vita vissuta come Gesù e con Gesù nella scelta evangelica di povertà, castità e obbedienza».
Chi ci sarà in piazza San Pietro?
«Mi piace ricordare che questo “Pellegrinaggio” è rivolto anche alle ragazze e ai ragazzi che si stanno interrogando sulla loro vocazione personale e sono in ricerca vocazionale -facendo parte di gruppi o cammini vocazionali presenti nelle Diocesi o animati dagli Istituti Religiosi- ponendosi la domanda decisiva che troviamo nella testimonianza di tanti Santi: “Signore, cosa vuoi che io faccia?”. Ritengo che il “vieni e vedi” di Gesù -che nel pellegrinaggio è ravvisabile nella condivisione della preghiera, dialogo e comunicazione di vita quindi incontro con la testimonianza dei propri coetanei in cammino vocazionale- può essere un momento di grazia verso una scelta vocazionale maturata solo e soltanto nella fede in Gesù Cristo. Dando uno sguardo al programma si vede bene che sono giornate essenzialmente di preghiera, catechesi, fraternità che mirano ad un annuncio a tutti i giovani del mondo a prendere sul serio la vita come dono di Dio, a discernere alla luce del Vangelo e con l’aiuto della Chiesa la propria vocazione personale e, se chiamati al presbiterato o alla vita consacrata, giocarla con fede e con amore nel nome del Signore a servizio dell’umanità. Come noto, e a questo ci tengo particolarmente, l’itinerario spirituale del pellegrinaggio si concluderà nell’incontro con il S.Padre, che prevedo carico di emozioni e di suggerimenti per i giovani in “ricerca” del senso della vita».
Da queste giornate e dalla Messa con il Papa di domenica mattina, partirà anche una proposta vocazionale ai giovani di tutto il mondo?
«Questo “Pellegrinaggio” dei giovani in formazione ed in cammino verso il presbiterato e la consacrazione è già di per se stesso una forte “proposta vocazionale” proprio per la presenza, la visibilità, la concretezza – anche nel numero – dei partecipanti. Certamente il Santo Padre non mancherà, come ha già fatto molte volte rivolgendosi ai giovani in questi primi mesi del suo pontificato, di far arrivare un messaggio forte alle giovani generazioni di tutto il mondo perché non “abbiano timore di osare il vangelo”, impegnando la loro vita “per amore” e “per sempre”, come risposta alla chiamata di speciale consacrazione alla quale il Signore non ha certo smesso di interpellare anche oggi».
La realtà delle vocazioni nel mondo è molto varia. Qual è la situazione in Italia e nelle diocesi toscane in particolare?
«Gli indicatori statistici confermano che la crisi apparsa nella sua evidenza negli anni ’60 si è ulteriormente aggravata e stabilizzata. Proprio per questo ogni diocesi, anche in Toscana, sta investendo le energie migliori in una pastorale giovanile in chiave vocazionale così come c’è un necessario e forte investimento nella preghiera vocazionale della comunità ecclesiale: devo dire che non mancano risposte generose, soprattutto – ma questa ormai non è più una sorpresa – tra i giovani adulti. Si tratta tuttavia di ingressi annuali nei nostri seminari che, possiamo definire, “con il contagocce”! così come le presenze nei nostri seminari si contano ancora sulle dita di una mano o poco più. Ogni vocazione che arriva a manifestarsi e giunge a maturazione – considerato il vento di una cultura antivocazionale o almeno non-vocazionale che ha investito oramai tutto l’Occidente e quindi anche l’Europa e la nostra Italia – può essere considerato un dono di Dio, quasi un miracolo, nel senso della visibilità del segno che Dio offre per continuare ad aver fiducia nella sua promessa e ad impegnarci perché Dio possa trovare risposte e disponibilità anche oggi e soprattutto nel tempo che verrà. Ritornando ai dati statistici non possiamo non considerare, per quanto riguarda la vocazione al presbiterato, come la situazione sia davvero preoccupante e sempre più precaria nella maggior parte delle diocesi del nostro Paese. Questo, fra i molti, è dovuto a due fattori a monte molto importanti: la permanente e significativa flessione demografica con il forte calo delle nascite (coppie con un solo figlio…) e l’ormai elevata età media del clero che, anche se trattenuto da un generale allungamento della vita, ci deve far prevedere a breve il collasso generalizzato del numero dei presbiteri».
Il discorso fatto per i seminari vale anche per gli istituti religiosi?
«Lo stesso quadro si presenta per la vita consacrata: infatti, proprio considerato il dono grande che è nella Chiesa il carisma della vita consacrata, debbo riconoscere che anche qui la situazione è assai grave sia per le vocazioni religiose femminili che per quelle maschili. Credo che sia esperienza comune, purtroppo, la constatazione del numero sempre più frequente di istituti religiosi maschili e femminili che chiudono le loro “case” nelle nostre diocesi. La preoccupazione deriva non solo dal fatto che vengono meno i preziosi servizi che i loro carismi rendono disponibili, sia nel campo dell’educazione come in quello dell’assistenza o della carità, quanto soprattutto per il dissolversi della testimonianza di una vita vissuta nella radicalità dei consigli evangelici».
Quale messaggio vorrebbe dare ai ragazzi e alle ragazze delle nostre diocesi che si interrogano sulla loro vita?
«Molti giovani sono inquieti di sapere se la felicità può durare per sempre. Per prendere decisioni audaci, la paura blocca e spesso manca il coraggio. Seguire Cristo, è vero, comporta anche dei rischi; ma Dio non ci impone la sua volontà, né ci forza a rispondere al suo appello: ci invita piuttosto a prendere parte al suo progetto di vita, nella libertà e nella felicità. Rispondere ad una chiamata è permettere a Dio di agire nello spazio più interno del proprio cuore: solo così le paure e le incapacità si trovano trasformate, solo così diventa possibile assumere il rischio di un “sì” pieno di gioia: perché dire di sì a Dio dà senso alla vita! Giovani non abbiate paura di Dio! Affrontate l’avventura della Vita!»