Italia

Campagna sul «debito», missione compiuta

di Claudio Turrini

«Non stiamo celebrando un funerale». Il convegno su «Debito, giustizia e solidarietà» sta quasi per finire, quando il vice presidente della Fondazione Cei, Paolo Beccegato, cerca di esorcizzare il pensiero di molti dei protagonisti di sette anni di impegno della Chiesa italiana per la remissione del debito, come frutto concreto del grande Giubileo del 2000. A chiudere il convegno, che si è tenuto a Roma dal 29 al 31 ottobre, doveva venire il presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco. Trattenuto all’estero da altri impegni, ha inviato a mons. Alessandro Charrier, presidente della Fondazione «Giustizia e solidarietà» un messaggio per ricordare come il debito dei Paesi poveri rappresenti «uno degli aspetti più inquietanti del più vasto scenario mondiale» e rendere merito al «percorso virtuoso attivato dalla Fondazione». Questo messaggio, chiosa Charrier, «ci tranquillizza un po’, perché ci dice che l’attuale Presidenza Cei non vuol chiudere questa esperienza». Al posto della Fondazione, nata per gestire l’iniziativa della Chiesa italiana verso Guinea Conakry e Zambia, subentrerà infatti un Tavolo di lavoro ecclesiale su «giustizia e solidarietà» – coordinato da don Gianni Cesena, direttore di «Missio» – con caratteristiche «educative, culturali e pastorali», per mantenere l’attenzione delle comunità cristiane su questi temi.

La Fondazione il suo l’ha fatto, ed egregiamente. Oltre mille i progetti realizzati in Guinea Conakry e Zambia pari a circa 17 milioni e mezzo di euro, poco più della cifra raccolta in Italia nel 2000 durante la Campagna ecclesiale per la remissione del debito estero. Progetti dei quali si è parlato nei tre giorni di convegno, con la testimonianza diretta di chi ci ha lavorato. «Sono soddisfatto ma non è abbastanza – commenta il direttore Riccardo Moro –. Quello che abbiamo fatto è certo rilevante, ma ha toccato solo due Paesi, e solo in parte». Questa operazione, prosegue, «si è caratterizzata per un forte protagonismo locale in Guinea e Zambia, dialogando con noi e nella corresponsabilità. È stata un’opportunità di cammino comune». Sette milioni di euro sono già stati spesi in Guinea, in 719 progetti (il 49% in ambito agricolo, il 12% nei diritti e nell’animazione sociale, il 10% nella formazione e micro finanza, il 5% nell’educazione, il 5% nella produzione agricola, il 2% nella tutela ambientale), coinvolgendo almeno 400 mila persone. Il governo guineano si è impegnato ad utilizzare la somma cancellata in favore della lotta alla povertà, versandone 1 milione mezzo nel Fondo guineo-italiano di riconversione del debito (Foguired). In Zambia, invece, non è stato possibile adottare la stessa soluzione, quindi i 10 milioni di euro a disposizione nei 392 progetti già approvati (coinvolgendo almeno 240 mila persone, soprattutto in ambito agricolo ed educativo) sono in parte da spendere.

La presentazione del Rapporto sul debito 2006-2008 ha permesso di allargare l’ottica anche al di là dell’impegno concreto della Chiesa italiana. Dal Rapporto risulta che tutti i Paesi in via di sviluppo avevano nel 1996, 2.023 miliardi di dollari di esposizione debitoria, che nel 2007 sono diventati 3.357 miliardi di dollari. «Ma l’aumento non è di per sé negativo – ha spiegato Moro – perché i dati comprendono anche Paesi come Cina, India e Russia e il fatto che il debito aumenti potrebbe anche significare che questi Paesi sono diventati più credibili sul piano internazionale». Il dato che invece preoccupa Moro è quello relativo all’Africa sub-sahariana: nel 1996 il debito estero totale era pari a 230 miliardi di dollari, con 15 miliardi di servizio del debito pagato (tasse più interessi). Nel 2007, pur essendo diminuito il debito a 193 miliardi di dollari, il servizio del debito è salito a 17 miliardi. Moro ha anche ricordato che il numero – 33 – dei Paesi altamente indebitati coinvolti nell’iniziativa Hipc (Heavily Indebted Poor Countries, per la riduzione del debito dei paesi più poveri) è stato «troppo basso»: di questi 23 hanno terminato il percorso di cancellazione e 10 hanno raggiunto il decision point, ossia la promessa che i creditori cancelleranno il debito se seguono determinate condizioni. «Sebbene l’iniziativa internazionale sia esistita e sia iniziato un dialogo reale tra società civile e decisori pubblici – ha commentato Moro – è sempre troppo poco».

La «Campagna» ecclesiale ha portato anche frutti «politici» in Italia. Con la legge 209 del 2000 è divenuto infatti possibile partecipare direttamente alle operazioni bilaterali di cancellazione, utilizzando i fondi raccolti per incrementare quelli messi a disposizione dai due Paesi. Dal 2002 ad oggi l’Italia ha cancellato e convertito 7,3 miliardi di euro, in media 1 miliardo di euro l’anno in 39 Paesi diversi. Tra le cancellazioni più recenti, la Repubblica Centro-Africana, la Sierra Leone e la Guinea Conakry. La cancellazione più alta – oltre 2 miliardi di euro – è andata nel 2005 all’Iraq; la più bassa – circa 40mila euro – al Rwanda. A queste cifre vanno aggiunti oltre 952 milioni di euro risultanti dalle operazioni di conversione del debito firmate dal governo italiano.

Ma l’impegno italiano sta regredendo. Da qui l’appello di Moro: «Vorremmo che il nostro Paese sia più autorevole e esigente nelle sedi internazionali, purtroppo questo contraddice con la riduzione degli aiuti allo sviluppo allo 0,15% del Pil, che è il minimo storico, ben lontano dall’1% che il governo aveva promesso durante l’ultimo vertice della Fao. Questo nega credibilità ai percorsi politici ed è per noi estremamente preoccupante». Moro ha invitato, inoltre, a mettere in piedi iniziative di monitoraggio delle operazioni di cancellazione del debito per «avere la certezza che i soldi vengano usati per finanziare lo sviluppo e non finiscano invece nelle mani di governanti corrotti». Che il nostro impegno sul fronte della cooperazione perda colpi lo ha confermato anche Mario Sammartino, vicedirettore del dipartimento del ministero degli esteri. Nel 2009 i fondi disponibili subiranno un calo del 54%. Da qui la proposta provocatoria di mons. Antonio Cecconi, sottolineata dagli applausi dei convegnisti: «L’Italia abbia il coraggio di scrivere “0” in bilancio nel settore della cooperazione, sarebbe più onesto».

Fondazione Giustizia e Solidarietà