Vita Chiesa

CHIESA ITALIANA E MEZZOGIORNO: LE MAFIE SONO STRUTTURE DI PECCATO

Una delle “piaghe più profonde e durature” del Sud. Un vero e proprio “cancro”. Così i vescovi definiscono la mafia. “Non è possibile mobilitare il Mezzogiorno senza che esso si liberi da quelle catene che non gli permettono di sprigionare le proprie energie”, denuncia la Cei nel documento su Chiesa e Mezzogiorno (testo integrale), stigmatizzando le “mafie che avvelenano la vita sociale, pervertono la mente e il cuore di tanti giovani, soffocano l’economia, deformano il volto autentico del Sud”. “La criminalità organizzata – il monito dei vescovi – non può e non deve dettare i tempi e i ritmi dell’economia e della politica meridionali, diventando il luogo privilegiato di ogni tipo di intermediazione e mettendo in crisi il sistema democratico del Paese, perché il controllo malavitoso del territorio porta di fatto a una forte limitazione, se non addirittura all’esautoramento, dell’autorità dello Stato e degli enti pubblici, favorendo l’incremento della corruzione, della collusione e della concussione, alterando il mercato del lavoro, manipolando gli appalti, interferendo nelle scelte urbanistiche e nel sistema delle autorizzazioni e concessioni, contaminando così l’intero territorio nazionale”. “Le organizzazioni mafiose – l’analisi della Cei – hanno sviluppato attività economiche, mantenendo al contempo ben collaudate forme arcaiche e violente di controllo sul territorio e sulla società”. “Non va ignorato, purtroppo, che è ancora presente una cultura che consente loro di rigenerarsi anche dopo le sconfitte inflitte dallo Stato attraverso l’azione delle forze dell’ordine e della magistratura”, ammettono i vescovi, deplorando la “falsa onorabilità” e l’”omertà diffusa”, ma anche “forme di particolarismo familistico, di fatalismo e di violenza”. Di qui la necessità di “un preciso intervento educativo, sin dai primi anni di età, per evitare che il mafioso sia visto come un modello da imitare”. Al Sud, “le mafie sono strutture di peccato”, denunciano i vescovi: “Solo la decisione di convertirsi e di rifiutare una mentalità mafiosa permette di uscirne veramente e, se necessario, subire violenza e immolarsi”. Come hanno fatto “i numerosi testimoni immolatisi a causa della giustizia: magistrati, forze dell’ordine, politici, sindacalisti, imprenditori e giornalisti, uomini e donne di ogni categoria”. Tra le “luminose testimonianze” del Sud, i vescovi citano quella di don Pino Puglisi, di don Giuseppe Diana e del giudice Rosario Livatino. Ma l’economia illegale “non si identifica totalmente con il fenomeno mafioso”, avverte la Cei, stigmatizzando “diffuse attività illecite ugualmente deleterie”, come usura, estorsione, evasione fiscale, lavoro nero, sintomi di “una carenza di senso civico che compromette sia la qualità della convivenza sociale sia quella della vita politica e istituzionale”. “Povertà, disoccupazione e emigrazione interna”: sono queste le principali “emergenze” del Sud. E’ quanto si legge ancora nel nuovo documento su Chiesa italiana e Mezzogiorno (testo integrale), in cui si fa notare che la povertà è concentrata in particolare al Sud, dove sono presenti “molte famiglie monoreddito, con un alto numero di componenti a carico, con scarse relazioni sociali ed elevati tassi di disoccupazione”. Quest’ultima “tocca in modo preoccupante i giovani e si riflette pesantemente sulla famiglia”: ma “i giovani del Meridione non devono sentirsi condannati a una perenne precarietà”, esclamano i vescovi, che al Sud auspicano “migliori politiche del lavoro”. Un esempio virtuoso è rappresentato dal Progetto Policoro, promosso dalla Cei per sostenere l’imprenditoria giovanile attraverso “rapporti di reciprocità” tra Chiese del Nord e del Sud. No, invece, al “lavoro sommerso”, che “non è certo un sano ammortizzatore sociale”. Infine, “il flusso migratorio dei giovani, soprattutto fra i 20 e i 35 anni, verso il Centro Nord e l’estero”, che dà luogo ad una categoria di “nuovi emigranti” composta da figure professionali di livello medio-alto. “Questo cambia i connotati della società meridionale”, il commento dei vescovi, e provoca “un generale depauperamento di professionalità e competenza, soprattutto nei campi della sanità, della scuola, dell’impresa e dell’impegno politico”.Sir