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FUNERALI MILITARE UCCISO IN AFGHANISTAN: MONS. PELVI, «CHIAMATO AD AMARE»

“Una presenza amica, desiderosa di favorire uno scambio di doni tra persone semplici, umiliate e minacciate in un conflitto in cui nessuno chiede il loro parere, salvo imporre loro di soffrire e pagarne le atroci conseguenze; un Alpino sempre sorridente che sentiva compiersi misteriosamente in se stesso quell’invito appassionato a volere e fare del bene, e che aveva compreso che non si vince solo con le armi e non si vince importando determinati modelli culturali e politici”. Così l’arcivescovo ordinario militare per l’Italia, mons. Vincenzo Pelvi, ha ricordato la figura di Luca Sanna, il caporal maggiore capo degli alpini, ucciso in Afghanistan e del quale oggi, a Roma, si sono svolte le esequie alla presenza delle più alte cariche dello Stato, tra cui il Presidente Giorgio Napolitano. “La sua morte violenta – ha detto il vescovo castrense – potrebbe portare a concludere che s’illudeva. Ma egli una simile fine l’aveva messa nel conto, perché uomo a cui il coraggio non mancava; un soldato che affrontava giorno dopo giorno il rischio della vita, lasciandosi invadere dalla benevolenza per i popoli martoriati. Nessuno dei nostri militari vuole fare l’eroe. Tutti vogliono tornare a casa dalle loro famiglie e dai loro amici. Ma tutti non esistano a porre a rischio il proprio futuro, sapendo che possono dare la vita o rimanere segnati. Questo è il vero eroismo quotidiano della famiglia militare”.“A Luca non è stata rubata la vita, perché egli l’aveva già donata – ha ricordato mons. Pelvi – e anche noi non ci faremo rubare la speranza, non ci strapperanno l’amore per i più deboli e la fiducia nel popolo afgano, nonostante questa ennesima ferita”. “Il coraggio di Luca – ha proseguito – ha la sua radice nell’unione con Gesù Cristo, nella forza che viene da lui, in maniera tanto misteriosa quanto vera e concreta. Di un coraggio analogo ha bisogno ciascuno di noi, se vuole affrontare il cammino della vita; un coraggio non per colpire e uccidere, ma per accogliere e costruire la comprensione, il dialogo e la pace là dove troppo spesso regnano l’intolleranza, il disprezzo e l’odio”. Tuttavia, ha affermato l’Ordinario militare, “il dovere di costruire la pace non deve essere confuso con una specie d’inerzia quietistica che è indifferente all’ingiustizia, accetta ogni tipo di disordine, scende a compromessi con l’errore e con il male e cede a ogni pressione per mantenere ‘la pace a qualsiasi prezzo’. Il cristiano sa bene, o dovrebbe sapere bene, che la pace non è possibile in termini simili. La pace – è stata la conclusione – esige il lavoro più eroico e il sacrificio più difficile. Esige un eroismo più grande della violenza. Esige una maggiore fedeltà alla verità e una purezza di coscienza molto più perfetta”.Sir