Opinioni & Commenti

Il lavoro un bene per l’uomo

di Leonardo SalutatiDocente di teologia morale alla Facoltà Teologica  dell’Italia centrale

Può succedere che il momento della fine delle ferie e della ripresa del consueto lavoro possa essere vissuto con fatica. È un’esperienza che probabilmente tutti fanno ma che viene di solito bilanciata e superata dal piacere di vivere quella vocazione universale, che costituisce una fondamentale dimensione dell’esistenza umana sulla terra (Laborem exercens 4), portatrice di una dignità che né il peccato né tantomeno la fatica può cancellare (Laborem exercens 9). Col lavoro infatti l’uomo è chiamato a realizzare quel compito di dominare e soggiogare (Gen 1,28) coltivare e custodire (Gen 2,15) la terra che costituisce la fondamentale e primordiale intenzione di Dio nei riguardi dell’uomo (Laborem exercens 9).

Infatti tutta la fatica del lavoro, conseguenza del peccato, non è in grado di annullare il fatto che il lavoro è un bene dell’uomo, non semplicemente utile o da fruire, ma un bene che esprime la dignità dell’uomo e la accresce perché mediante il lavoro l’uomo non solo trasforma la natura adattandola alle proprie necessità, ma anche realizza se stesso come uomo ed anzi, in un certo senso, «diventa più uomo» (Laborem exercens 9). Addirittura sopportando la fatica del lavoro in unione con Cristo crocifisso per noi, l’uomo collabora in qualche modo col Figlio di Dio alla redenzione dell’umanità, e grazie alla luce della risurrezione può vedere nel lavoro un bene nuovo, quasi come un annuncio dei «nuovi cieli e di una terra nuova», i quali proprio mediante la fatica del lavoro vengono partecipati dall’uomo e dal mondo (Laborem exercens 27).

Alla luce di questo insegnamento e considerato che la norma del lavoro umano ci insegna che esso debba corrispondere al vero bene della umanità, e permetta all’uomo singolo o posto entro la società di coltivare e di attuare la sua integrale vocazione (Gaudium et spes 35), la persona umana non dovrebbe mai essere sopravanzata da interessi esclusivamente economici e nessuno dovrebbe poter trarre beneficio a costo dell’estromissione di altri dal lavoro anche, a volte, con comportamenti sleali. In particolare la redditività del capitale non dovrebbe mai essere implementata senza mirare anche alla creazione di posti di lavoro. A questo riguardo l’ultima enciclica sociale di Benedetto XVI invita ad una attenta riflessione su fenomeni quali la delocalizzazione e la mobilità lavorativa (Caritas in veritate 25). Il primo processo, producendo lo spostamento delle produzioni a basso costo al fine di ridurre i prezzi di molti beni, accrescere il potere di acquisto e accelerare il tasso di sviluppo centrato su maggiori consumi per il proprio mercato interno, ha comportato la riduzione delle reti di sicurezza sociale in cambio di maggiori vantaggi competitivi nel mercato globale. Il secondo fenomeno, pur non essendo privo di aspetti positivi, produce situazioni in cui l’incertezza circa le condizioni di lavoro diviene endemica, creando forme di instabilità psicologica, di difficoltà a costruire propri percorsi coerenti nell’esistenza, compreso quello verso il matrimonio, di degrado umano oltre che di spreco sociale (ibid.).

Al riguardo Papa Benedetto XVI ricorda a tutti coloro che sono impegnati a dare un profilo rinnovato agli assetti economici e sociali del mondo, che il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è l’uomo, la persona, nella sua integrità: «L’uomo infatti è l’autore, il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale» (ibid.). Da qui il richiamo all’urgente esigenza che le organizzazioni sindacali dei lavoratori, si aprano ad agire conformemente alle nuove prospettive che emergono nell’ambito lavorativo. Il contesto socio-economico odierno caratterizzato da processi di globalizzazione economico-finanziaria sempre più rapidi richiede infatti che le organizzazioni sindacali amplino il proprio raggio di azione di solidarietà in modo che siano tutelati, oltre alle categorie lavorative tradizionali, i lavoratori con contratti atipici o a tempo determinato; i lavoratori il cui impiego è messo in pericolo dalle fusioni di imprese che sempre più frequentemente avvengono, anche a livello internazionale; coloro che non hanno un’occupazione, gli immigrati, i lavoratori stagionali, coloro che per mancanza di aggiornamento professionale sono stati espulsi dal mercato del lavoro e non vi possono rientrare senza adeguati corsi di riqualificazione (Compendio di Dottrina sociale 380).

Una maggiore attenzione richiede poi la condizione dei lavoratori dei Paesi in via di sviluppo, dove i diritti sociali vengono spesso violati. La difesa di questi lavoratori, promossa anche attraverso opportune iniziative verso i Paesi di origine, permetterà di dare ancora più rilievo alla salvaguardia dei livelli occupazionali nei paesi sviluppati e di porre in evidenza le autentiche ragioni etiche e culturali che hanno consentito a suo tempo, in contesti sociali e lavorativi diversi, di essere un fattore decisivo per lo sviluppo (Caritas in veritate 64).