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Monte San Savino: non c’è niente che paghi il sangue d’una vita umana

Quanto dolore, nella vicenda di Monte San Savino, dove un gommista, vittima di ripetuti furti, ha ucciso l’ultimo ladro, un ragazzo di 29 anni. Difesa legittima? Eccesso colposo? Quanto dolore. L’allarme sociale che alimenta le nostre paure, lo sconcerto che qualche gomma faccia gola a un ladro a rischio di vita, e al proprietario custodia a rischio di sangue. Finché un rimbalzo di dolore, anche più inquietante, viene dall’applauso agli spari, dall’approvazione gridata, come di fronte a un esempio virtuoso e imitabile. Così asciuga il «sangue impuro» sulla soglia delle gomme salvate. Senza che nessuno sappia, infine, quale dolore ora s’insinui nel cuore dell’uomo che ha ucciso l’uomo.

Non si tratta, per noi, frenando le emozioni e interrogandoci sulla giustizia, di giudicare l’accaduto, portando l’uomo che ha ucciso alla sbarra oppure in trionfo. Ci sono i tribunali, c’è la legge; c’è il principio della legittima difesa, c’è una giurisprudenza copiosa e solida. A noi importa capire che cosa sia giusto quando accade l’ingiusto, e cosa debba farsi nel dramma perché non si trasformi in tragedia, restando la morte una tragedia. Capire ciò che dice l’istinto e la ragione, la legge e l’etica.

Difendersi è un impulso istintivo che fronteggia un pericolo

Rileggete lentamente: sono parole pesate una per una. È come una «extrema ratio»: lascia fatalmente una lacerazione del bene sul piano ontologico, ossia un evento di «male» che la legge continua a definire per quello che è, reato se è reato (omicidio se è omicidio); e che ritiene solo non punibile quando chi l’ha commesso si è trovato costretto a compierlo. Essenziale, quando tutte le condizioni della strettoia si verificano, resta la proporzione: la legittima difesa proporzionata è lecita, l’eccesso è illecito. Dopo i ritocchi fatti da una legge del 2006, che ha slargato d’ufficio, in modo eticamente inaccettabile (e costituzionalmente dubbioso) la proporzione dell’uso delle armi per difendere anche i beni materiali in casa o in bottega in particolari situazioni, si sente ripetere, a volte, uno slogan che vorrebbe la difesa «in casa propria sempre lecita», qualunque sia. Non è così, non può essere così, non può tradursi nel diritto di sparare a vista (o alla cieca) verso chi cerca di rubare un oggetto materiale.

C’è proporzione fra una gomma e la vita? Non c’è oggetto materiale al mondo che paghi il sangue d’una vita umana. Oggi c’è un clima di collera che infuoca una parola pericolosa, l’autotutela armata. A suo modo ciò confessa sfiducia nella difesa pubblica, nella difesa comune, nella vigilanza solidale, nell’attenzione agli irrisolti problemi di marginalità che agiscono come fattori di criminogenesi. Siamo società, non branco disperso ognuno per sé. Meglio la sicurezza preventiva propiziata da intelligenti presidi del territorio, che la disperata deriva delle armi sul comodino.