Opinioni & Commenti

Per una rinnovata presenza dei cattolici sulla scena pubblica

di Giuseppe Savagnone

Il documento conclusivo della 46ª Settimana sociale di Reggio Calabria può essere letto sotto profili diversi. Quello che ha colpito la grande stampa è il riferimento politico, che è effettivamente presente e significativo, anche se non è l’unico. Da questo punto di vista non si può sottovalutare la carica critica di alcuni rilievi. «Serve una decisa spinta verso una maggiore democrazia nei partiti», si osserva nel testo, facendo il resoconto dei lavori della Settimana.

«In maniera altrettanto convinta ci si è pronunciati per la revisione della legge elettorale a tutti i livelli e per tutte le istanze. Occorre dare all’elettore un reale potere di scelta e di controllo. Bisogna anche affrontare la questione del numero dei mandati e dell’ineleggibilità di quanti hanno pendenze con la giustizia». C’è solo da rallegrarsi che la voce della comunità cristiana si levi a denunziare una situazione paradossale, che mina la credibilità di una classe politica sempre pronta a invocare la propria legittimazione popolare e i cui elementi, invece, sono di fatto scelti non dal popolo sovrano, ma dalle segreterie di partito. Opportunissimo anche il riferimento alla questione dell’ineleggibilità di quanti hanno pendenze con la giustizia, un problema che dovrebbe essere preliminare a qualunque riforma della magistratura da parte di queste persone. Significativa, nel momento attuale, anche la chiara difesa della Carta costituzionale: «La Costituzione italiana è frutto di un’esperienza esemplare di alto compromesso delle principali culture politiche del Paese. Eventuali modifiche non devono stravolgerne l’impianto fondante, definito anzitutto nella prima parte».

Quanto al federalismo, si dice che esso può costituire «un modo diverso di pensare l’unità del Paese, oppure sancire una frattura ancora più insanabile tra Nord e Sud» e si indica in una corretta interpretazione del principio di sussidiarietà la condizione perché esso sia fonte «di migliore unità politica e di maggiore solidarietà» e di promozione del Mezzogiorno. Ampio spazio ha, nel documento, il problema dell’integrazione degli immigrati, nell’interesse loro e di tutti. «La paura dello straniero, il rifiuto e i pregiudizi non possono trovare casa nella comunità ecclesiale che, anche attraverso i suoi pastori, è chiamata ad un “di più” di accoglienza, di rispetto e di condivisione. Il riconoscimento della dignità della vita del migrante che giunge nel nostro Paese è l’esplicita declinazione di una premessa indispensabile per la costruzione del bene comune». E si invita ad evitare «semplificazioni e pregiudizi, che rischiano di connettere automaticamente immigrazione e criminalità». Senza mai fare menzione della Lega, si denunzia, inoltre, una serie di gravi carenze di cui è responsabile la nostra classe politica: «La Dichiarazione dei diritti dei lavoratori migranti e delle loro famiglie attende ancora la ratifica da parte dell’Italia. La giusta retribuzione e le condizioni di lavoro degli immigrati non sono garantiti in ogni settore. Manca una specifica legge sul diritto d’asilo e vanno rafforzate le azioni di accoglienza rivolte a coloro che fuggono da condizioni di persecuzione politica».

Si avanza poi una precisa proposta: «È emersa poi la necessità di predisporre specifici percorsi per l’inclusione e per l’esercizio della cittadinanza, concedendo, tra l’altro, il diritto di voto almeno alle elezioni amministrative e l’ammissione al servizio civile».

Come si diceva all’inizio, sarebbe unilaterale, però, una valutazione che guardi solo agli aspetti politici del documento. Nell’ambito economico-sociale c’è la «denuncia dei gravi limiti di un sistema finanziario che ha dato a molti l’illusione di poter guadagnare senza impresa e senza lavoro». Si segnala che «alcune delle modalità con cui viene aumentata la flessibilità del mondo del lavoro, in particolare nel settore della pubblica amministrazione, rischiano di produrre fenomeni di precarietà, che aggravano ulteriormente l’insicurezza dovuta in primo luogo alla difficile situazione economica» e  si sottolinea che «è decisivo che il lavoro non contraddica le funzioni essenziali e qualificanti della famiglia».

Nell’ambito educativo si osserva che «è urgente prestare attenzione alla fragilità dell’adulto. È emersa l’importanza di luoghi in cui fare esperienza di incontro, di accompagnamento, in cui vivere esperienze concrete, nei quali l’adulto possa imparare o reimparare a educare».

Si riferisce, ancora, che, durante i lavori di Reggio Calabria, «con particolare riferimento alla televisione e a internet, è stata sottolineata la prevalente negatività dei modelli proposti e la necessità di un codice etico di riferimento che non penalizzi le grandi potenzialità di cui sono portatori». Sono solo alcuni degli stimoli che provengono dal grande appuntamento dello scorso ottobre e che chiedono di non essere sepolti nell’oblìo. Ma ciò che forse è stato preponderante, in questa 46ª Settimana sociale, è la «sfida a portare l’analisi alla radice culturale delle crisi» che il nostro Paese sta vivendo. Proprio in questa prospettiva, il documento insiste molto nell’evidenziare «quale grande potenzialità educativa offra la prassi del discernimento ecclesiale» in vista di una corretta lettura e di una coerente attuazione del bene comune.

In fondo, al di là delle singole notazioni, il vero senso che esso vuole avere è quello di sostenere un cammino cominciato già con i lavori preparatori della Settimana e che deve continuare, per la crescita delle comunità cristiane e un corretto approccio ai gravi problemi della società: «Le giornate di Reggio Calabria hanno riconsegnato alle Chiese che sono in Italia tante persone arricchite da questa esperienza e consapevoli che essa può ripetersi con altri credenti e con altre persone di buona volontà, come contributo alla vita ecclesiale e al dibattito pubblico». All’insegna del discernimento, questo cammino può dar luogo a un nuovo senso di responsabilità dei cattolici nei confronti del bene comune e a una loro rinnovata presenza, non subalterna, sulla scena pubblica. «È un compito grande», dice il documento. Sarebbe grave, da parte nostra, non rispondere all’appello.

Il testo integrale del documento