Italia

Quirinale, verso il “bis” di Mattarella: per il decano dei quirinalisti è l’addio alla seconda Repubblica

La parola chiave di questa elezione, che tutti avrebbero voluto in fondo evitare ma che evitare non era possibile, è stata un aggettivo: “divisivo”. Fino a sette anni fa era il contrario, e tutto ruotava attorno al concetto di unità. La Storia passa anche per i singoli vocaboli, su di essi è necessario talvolta soffermarsi. In passato si cercava chi unisse di più, adesso si ha paura di chi rischia di spaccar tutto in un Paese già sufficientemente lacerato di suo.È la terza fase della Repubblica, quella in cui si cerca e si cercherà – magari anche in modo goffo e controproducente – di rimediare agli eccessi della seconda, quella nata nel nome di una chiarezza delle scelte che alla lunga si è rivelata essere premessa della prevaricazione. Chi vince comanda, si è detto, e chi perde subisca. Due campi, due schieramenti, una battaglia: è la logica del bipolarismo.Ora quella logica mostra tutte le sue rughe. La votazione per il Quirinale ha dimostrato che una democrazia avanzata come la nostra non può affidarsi a chi ha predicato per anni la divisione. Vale per Berlusconi, innanzitutto, che in fondo questo metodo l’ha inventato ed esportato; vale però anche per il centrosinistra, che nella logica della demonizzazione dell’avversario è caduto, anche per nascondere qualche difficoltà di progettualità.A ben vedere, chi è Sergio Mattarella? L’ultimo eccellente risultato della formazione politica come la si faceva prima del ‘94. Sapienza mediatrice, fermezza se necessaria, visione globale dei processi. Alzi la mano chi è in grado di trovare un altro nome con queste qualità.Ne abbiamo scritto in un libro, “L’uomo delle regole”, mettendo in evidenza come il suo settennato sia stati quello che ha visto l’apertura della Terza Fase della Repubblica. Dopo di lui nulla sarà come prima, e non è un caso che in molti abbiano sperato che restasse al Quirinale. Cincinnato, comunque, è rimasto fino all’ultimo abbarbicato al suo campo da arare. Come dargli torto.Berlusconi ha subito non tanto l’ingratitudine dei giovani alleati, quanto la propria inadeguatezza ai tempi nuovi. Lui non è uomo della Seconda Repubblica, lui è la Seconda Repubblica. Arriva la terza fase, gli è stato presentato il conto. Salvini e Meloni, tutto sommato, sono quello che Rocco Buttiglione sperava di essere già trent’anni fa: i fortunati detentori del biglietto vincente che garantisce l’eredità del centrodestra. Ma attenzione, perché in politica le eredità non esistono. Avranno molto da lavorare, per guadagnarsela.Il Movimento 5 Stelle ha autocertificato la propria non esistenza. Non puoi essere la principale forza parlamentare e andare al ricasco degli altri, per settimane, su un argomento fondamentale come l’elezione del Presidente della Repubblica. Pianta cresciuta troppo in fretta, non ha radici né politiche né culturali. Il vento soffia, e porta via. È evidente il tentativo del Pd di fare con i grillini quello che i Ds fecero, a suo tempo, con il Ppi: assorbire chi è più vicino nel tentativo di immettere nuova linfa in un corpaccione dallo scarso tono muscolare. Metodo di corto respiro, garantisce al massimo il tirare a campare. Il venir meno, poi, delle premesse che stavano alla base della stessa esistenza del Pd (l’alternanza ad un centrodestra garantito dall’unione personale in Silvio Berlusconi) mettono a repentaglio ogni nuovo progetto, soprattutto se ricavato con la carta carbone dai precedenti.A questo è servito il passaggio segnato dalla fine del settennato di Mattarella: a fare venire a galla l’esaurirsi di una stagione e di alcuni modelli che da tempo mostravano la corda. I nuovi equilibri, che non potranno prescindere da quanto è successo in queste settimane, andranno cercati con certosina pazienza e – ci si permetta l’originale idea – una certa eleganza. Perché anche la politica è bellezza: l’abbiamo trasformata in guerra e ne paghiamo le conseguenze. Ma se i Greci la definivano scienza architettonica, e loro l’architettura l’hanno inventata (come hanno inventato la politica, del resto), un motivo ci sarà.