Il film: “Caracas”, nel cuore di Napoli, passando per Caracas

Alla sua terza opera da regista, Marco D'Amore si riunisce al proprio maestro teatrale Toni Servillo e porta in sala «Caracas», adattando per lo schermo il romanzo-diario di viaggio di Ermanno Rea.

Fin dalla primissima scena, pare dirci Marco D’Amore, in «Caracas»ci si deve tuffare. Il film si apre su una sessione di skydive, e il protagonista, il Caracas del titolo, è quello che apre il paracadute all’ultimo secondo disponibile, rischiando lo schianto fatale e delineando con una rapidissima pennellata la natura del personaggio.

Abbiamo modo di seguire Caracas in una seconda discesa, meno rapida e adrenalinica della prima ma altrettanto travolgente: nella seconda scena, un lungo piano sequenza ripreso da sopra la spalla del protagonista porta il pubblico tra le viscere del quartiere del porto di Napoli, nei luoghi di ritrovo di frange di estrema destra unite da tatuaggi, inni al duce, saluto fascista e violente spedizioni punitive ai danni degli immigrati e di chiunque non abbia il colore della pelle giusto.

Caracas è un uomo che vive ai margini, un solitario – orfano, si scoprirà – che cerca un gruppo che gli faccia da famiglia prima tra le fila dei fascisti, poi nella comunità islamica, un’identità in ricerca, inquieta, che sente solo una grande mancanza. In circostanze alquanto bizzarre, diventerà suo amico Giordano Fonte, grande scrittore che torna a Napoli dopo anni di assenza, anche lui sperduto in una città che un tempo chiamava casa e che ora non riconosce più, anche lui fotografato durante un momento di profonda crisi personale e professionale.

Marco D’Amore, regista, interprete e sceneggiatore, mette subito in chiaro la natura complessa e contraddittoria dei propri personaggi, di una complessità però che vuole sfidare una narrazione semplicistica, polarizzata, superficialmente manichea.

Il pubblico abbraccia la prospettiva di Giordano in questa sua odissea nei meandri di una Napoli che è ormai terra straniera, una città che si fa vera e propria coprotagonista, trasformata dalla bella fotografia di Stefano Meloni in una specie di Gotham City, un’ambientazione da film noir sempre buia, sempre bagnata dalla pioggia, una “città spugna”, come la definisce il protagonista, che seduce, spaventa, inghiotte.

Nell’arazzo stratificato e complesso che «Caracas» quello di Giordano è un viaggio quasi dantesco, con il fascista aspirante musulmano come improbabile Virgilio, figura mutevole che accompagna attraverso una selva oscura altrettanto evanescente. Lo sguardo dello scrittore, però, trasfigura e falsifica, confonde attraverso l’atto stesso del narrare, proiettando l’ombra del dubbio su cosa sia o meno reale, cosa accada davvero e cosa sia parte del libro che vorrebbe scrivere, cosa ricordo e cosa sogno.

La Napoli raccontata da D’Amore è lontana da ogni idealizzazione, nel bene o nel male che sia, e restituisce finalmente profondità e complessità a una realtà dinamica, sfaccettata, perennemente in divenire, sottolineando le mutazioni indotte dall’endemica povertà spirituale di un Occidente ormai perso in se stesso, privatosi sistematicamente di ogni punto di riferimento e obbligato a cercarli altrove, anche negli estremismi.

A volte D’Amore si lascia prendere la mano e l’espediente del narratore inaffidabile diventa un gioco intellettuale un po’ fine a se stesso, ma rimane un peccato veniale all’interno di un film sorprendentemente maturo, un’esperienza visiva notevole e uno spaccato di tragedia umana emozionante.

CARACAS di Marco D’Amore. Con Toni Servillo, Marco D’Amore, Lina Camélia Lumbroso, Brian Parisi. Italia, 2024. Drammatico.