Il «no» dei cattolici alla «morte medicalmente assistita»

Egregio direttore, ho letto nell’ultimo numero di «Toscana Oggi» quello che avete scritto a proposito del «caso di Vincent Lambert» e anche degli hospice cattolici come luoghi che aprono alla speranza. È bello leggere che si può dare una risposta alle paure, al senso di solitudine e alle angoscia di chi si sente avvicinarsi la morte oppure non è più in grado di vivere una vita normale come la intendiamo noi. È bello leggere che occorre rendere piena di senso la vita delle persone inguaribili. All’apparenza è tutto condivisibile. La mia impressione, però, è che le cose cambiano e anche di parecchio quando ci troviamo a vivere certe situazioni sulla propria pelle o su quella dei propri cari. Chi di noi non ha mai pensato che è meglio morire che soffrire, che è meglio morire che rimanere immobilizzati in un letto o che è meglio morire che perdere la testa? Io credo che questo sia un ragionamente che fanno in tanti, anche tanti cattolici, al di là dei politici che vogliono introdurre l’eutanasia anche in Italia. Non voglio fare polemica, ma mi sembra che a volte si faccia un po’ troppo facile qualcosa che invece è molto difficile.

Renato Carbonari

Caro Carbonari, la mia risposta a una questione così complessa varrebbe davvero poco. Mi viene per fortuna in soccorso il presidente della Conferenza episcopale italiana, il cardinale Bassetti (che per noi in Toscana è ancora «don Gualtiero»). In una intervista rilasciata ad «Avvenire», domenica scorsa, Bassetti spiega che per chi ha fede «non esiste dolore o sofferenza che non abbia un senso di fronte a Gesù Cristo, che ha preso su di sé il dolore e il male del mondo». In ogni caso «non è necessario essere credenti per riconoscersi membri di quella grande comunità che è l’umanità, dove ogni uomo ha lo stesso valore e la stessa dignità, a prescindere dalle condizioni in cui si trova. Perdere questo orizzonte potrebbe significare aprire a qualsiasi facilitazione di morte procurata per legge». Da qui il fermo «no» alle ipotesi di «morte medicalmente assistita» e l’auspicio che si possa estendere l’accesso alle cure palliative, vera risposta alla sofferenza estrema.

Per il presidente della Cei, «la nostra società, come non è più organizzata per accogliere i figli, non sembra culturalmente strutturata nemmeno per assistere i malati, considerando uno spreco il relativo investimento». Bassetti si dice «allarmato per quello che potrebbe significare per noi tutti accettare che si possa legittimamente aiutare qualcuno a morire». Detto questo, caro Carbonari, mi sembra che i cattolici, anche quelli che umanamente possono essere tentati di pensarla come dice lei, sono chiamati a dare un contributo culturale fondamentale perché, come afferma invece il Cardinale, «ci è chiesto di saper andare oltre la pura testimonianza per saper dare ragione di quello che sosteniamo».

Andrea Fagioli