Le vittime innocenti e il nostro riscaldamento

Caro Direttore,nell’articolo «Quando dire pace non basta» della settimana scorsa, il prof. Rumi dice a proposito della posizione dei cattolici sul conflitto in Afghanistan di avvertire «un senso forte di responsabilità» e di credere che «il mondo cattolico stia transitando da una posizione profetico-avveniristica ad una posizione più realista». Quindi motiva l’intervento militare con il problema del calo di dieci gradi nel nostro riscaldamento «perché non ci sono solo rapporti di sentimento, ma anche di interessi. E chi è responsabile deve tener conto di tutto».

Personalmente in questo momento sento che la mia responsabilità è chiamata in causa sul perché di tante anonime vittime innocenti di questo sciagurato intervento militare in Afghanistan più che sul mio riscaldamento (a cui per altro rinuncerei volentieri se servisse a dare dieci gradi di caldo ai profughi che stanno affrontando l’inverno sotto le tende).

Mi rimane difficile conciliare l’apertura del titolo dell’articolo in questione «i credenti di fronte a guerra e terrorismo» con le affermazioni del prof. Rumi. Se potesse aiutarmi a chiarire Le sarei grato.

Don Stefano ManettiCertaldo (Fi)

Di fronte agli avvenimenti che ci hanno coinvolto dopo l’11 settembre e che hanno posto tanti interrogativi alla nostra coscienza, ci è sembrato che impegno del Settimanale fosse il far riflettere, l’aiutare a capire. Prima di tutto informando: dal n. 32 del 16 settembre ad oggi ben 52 pagine sono state dedicate a questo argomento, analizzato da varie angolazioni, aiutati anche dai commenti sempre puntuali di vari esperti.

E con tre criteri di valutazione, che segnano la linea del giornale:1) il valore grande della pace, che si costruisce e si mantiene con la giustizia e il perdono (Messaggio del Papa per la Giornata mondiale della pace del 1° gennaio 2002);2) la condanna di ogni forma di terrorismo;3) la convinzione che la guerra, ogni guerra, ieri come oggi, coinvolge sempre persone innocenti che finiscono per pagarne il prezzo più alto.

Ci sembra che su questi punti dovrebbe necessariamente registrarsi convergenza piena tra i cristiani. C’è però un problema che il Papa esplicita sempre nel messaggio citato al paragrafo 5 ed è «il diritto a difendersi dal terrorismo». Questo fenomeno si combatte, prima di tutto, «con un impegno sul piano politico, diplomatico ed economico per risolvere con coraggio e determinazione le eventuali situazioni di oppressione e di emarginazione», ma il diritto a difendersi resta.

Certo, come ogni altro diritto, deve rispondere a regole ben precise, morali e giuridiche. E il Papa le indica con chiarezza sempre al paragrafo 5. È questo il punto su cui in ambito cattolico si registrano sensibilità ed anche opzioni diverse, che vediamo chiaramente espresse nell’intervista a mons. Pasini (TOSCANAoggi n. 44) e in quella al prof. Rumi (TOSCANAoggi n. 45) che sono ambedue personalità autorevoli ed espressione autentica del mondo cattolico. In fondo esplicitano quanto emerge nelle discussioni in parrocchia e anche nelle associazioni (per citare due ambiti di impegno di don Manetti, parroco e assistente regionale dell’Ac) se si affrontano questi temi (ed anche altri, per la verità).Il Settimanale, che come abbiamo scritto più volte è anche luogo d’incontro e di dibattito, registra proprio con le interviste, che sono lo strumento più appropriato, queste differenze – sarebbe onesto nasconderle? – che possono aiutare a riflettere. L’importante è non trasformarle mai in divisioni rancorose.