Nessuna motivazione giustifica la violenza sulle donne

Egregio direttore,

le vicende di Palermo e di Caivano, hanno provocato nell’opinione pubblica una giusta e doverosa condanna e indignazione nei confronti di episodi estremamente gravi da condannare. Tuttavia questi due episodi successi a poca distanza tra loro presentano un elemento maggiormente più grave rispetto alla violenza sessuale che queste ragazze hanno ricevuto dal «branco»; che queste forme di violenze inammissibili sono il prodotto del retroterra culturale per cui la legge del gruppo giustifica comportamenti criminali. Queste vicende evidenziano, che queste forme di violenza inaudite sono il frutto di anche una condizione culturale e antropologica. L’ambiente in cui si sono manifestati queste violenze sono ambienti degradati socialmente e culturalmente; ma soprattutto una decadenza antropologica. I presunti colpevoli che si sono macchiati di questi vergognosi crimini hanno respirato e sono stati educati alla dura legge del branco fondata sulla violenza, sulla sopraffazione verso gli ultimi soprattutto le donne e i più fragili, sull’affermazione del principio dell’omertà su quello della denuncia e della legalità. Non solo occorre che lo Stato sia presente con forza in queste zone di nessuno, dove la criminalità regna con lo spaccio della droga, attraverso il rafforzamento della presenza delle forze dell’ordine, la tolleranza a zero nei confronti dell’odioso crimine della violenza sessuale sulle donne, ma occorre attuare interventi sociali ed educativi al fine di togliere i ragazzi dalla strada, dal controllo dei poteri criminali attraverso una riqualificazione dei centri di sana aggregazione e il riaffermare l’importanza della scuola come luogo di educazione alla legalità e di inclusione e superamento di ogni barriera e forma di discriminazione. L’altro aspetto che colpisce è l’inesistenza della famiglia come agenzia educativa: dove si insegna che la via maestra è la via della moderazione e del pudore, e che se si supera certe soglie si può rischiare degli imprevisti. Non si giustifica, che un branco di ragazzi si sia approfittato di una ragazzina, che dopo una serata di movida non era in condizione di lucidità; ma tutto quanto evidenza la crisi educativa e soprattutto antropologica.

Lorenzo Cecchi

Carissimo signor Lorenzo, mi lasci prima di tutto dire che pochi sono i delitti orribili come quello della violenza sessuale su una donna, ancor più terribile se questa è una bambina o, e succede anche questo – come le cronache ci dicono – é una persona incapace di intendere e di volere. Se poi a compiere atti del genere, e ne abbiamo parlato sul numero 31 del nostro settimanale, è un branco di giovani, alcuni anche minorenni, è chiaro che tutti noi – per primi i genitori e gli insegnanti di questi ragazzi – dobbiamo porci più di una domanda. Le dico la verità non mi piace «la legge del branco», esiste solo la legge dello Stato. In un Paese civile chi commette un delitto di questo genere non ha giustificazioni di sorta, non può trovare comprensione in nessuno per ciò che ha fatto, neppure nei suoi genitori.

Lei parla di condizione culturale e antropologica. Capisco cosa vuol dire ma le dico sinceramente che al di là degli ultimi due casi da lei citati, Palermo e Caivano, purtroppo violenze di questo tipo accadono al sud come al nord o al centro. Forse i ragazzi di Palermo e Caivano come afferma soffrono di una decadenza culturale e antopologica maggiore rispetto ai loro coetanei del nord, ma se lei e i nostri lettori mi permettono, questo dovrebbe essere un aggravante per chi è nato a Torino, a Milano o a Firenze e compie atti di violenza. Ecco perché la seguo solo fino a un certo punto quando parla di condizione atropologica. E se è vero che servono azioni che garantiscano più sicurezza e controlli (sembra che proprio in questi giorni il governo Meloni abbia preso una serie di misure in questo senso), io non sono convinto che siano sufficienti. E qui ha ragione quando dice che occorrerebbero interventi sociali ed educativi capaci di togliere i ragazzi dalla strada, dalle mani della criminalità. Da anni nel nostro Paese si parla di Educazione civica nelle scuole. La invito a verificare in quante scuole questa materia viene davvero studiata o almeno proposta ai ragazzi. E un’ultima parola la riservo alle famiglie. Lei parla di «agenzia educativa». Io vado oltre e dico che le mura domestiche devono essere il primo luogo dove si insegna ai ragazzi, e pure alle ragazze, il rispetto degli altri, di tutti, e persino del proprio corpo come di quello altrui. Prima in qualche famiglia si evitava di avere la televisione nella stanza dove si mangiava. Oggi la tv è quasi un oggetto antico e c’è bisogno di qualcosa di nuovo. Cosa? Beh se la tv non è più di moda proviamo a lasciare fuori dalla stanza dove si mangia i cellulari. E i primi a farlo dovremmo essere noi adulti. Forse se genitori e figli parlassero almeno a tavola, qualcosa riuscirebbero a trasmettersi. Importante è che non sia odio verso gli altri, a partire dai professori. E questi ultimi non devono essere amati per forza ma almeno rispettati sì e devono a loro volta rispettare i ragazzi e quindi insegnare, magari dare anche i voti come si faceva in passato, senza la paura di essere aggrediti da qualche genitore infuriato.