«Io, figlio di esuli arrivati in Toscana settant’anni fa»

Sono un figlio di esuli istriani-dalmati. I miei genitori sono nati in due belle e grandi isole del Golfo del Quarnaro: Veglia (padre) e Cherso (madre) oggi Krk e Cres in Croazia. Da sposati hanno vissuto a Fiume oggi Rijeka. La loro storia è simile a quella dei 350 mila esuli che hanno lasciato le loro terre native italiana in Istria, Dalmazia e Venezia Giulia a causa del Trattato di Parigi firmato il 10 febbraio 1947 con le quali le nazioni vincitrice della Seconda guerra mondiale (Stati Uniti, Russia e Inghilterra) hanno penalizzato l’Italia la quale dovette cedere l’Istria, la Dalmazia e parte della Venezia Giulia a favore alla Yugoslavia del Maresciallo Tito alleato della Russia.

L’esodo dei miei genitori è iniziato nell’anno 1949: dalla loro città di Fiume sono stati trasferiti al Campo di raccolta (Crp) di Udine, poi presso il Crp di Laterina in provincia di Arezzo e da lì presso il Crp di Marina di Massa (ora il Centro Don Gnocchi). Ho una sorella nata a Fiume (1947), un fratello nato a Massa (1950), poi ci sono io (1952) e un altro fratello (1957).

La vita della nostra famiglia è stata segnata da tanta miseria all’inizio poi con la chiamata al lavoro di mio padre presso lo stabilimento della Dalmine Spa (tubi per estrazione del petrolio) e l’assegnazione di una casa popolare dell’azienda (Case Lamaro) è migliorata ma restando sempre difficoltosa (nei negozi con il libretto per scrivere la spesa quotidiana e pagamento mensile quando arrivava la busta paga).

Mio padre è andato al lavoro con la sua bicicletta bianchi (usata anche dai figli) sin al giorno del suo pensionamento (1976) le rastrelliere per il deposito biciclette si erano ridotte a un’unica rastrelliera per soli 20 posti. Tutti siamo andati a scuola: è siamo stati aiutati dallo Stato con buoni libro o buoni per il bus (ma non coprivano tutta la spesa); un fratello si è laureato gli alti diplomati alle superiori. Nel quartiere operaio, nei primi tempi, vi era un prendere in giro sia per il nostro dialetto istrio-veneto che per il cognome e per alcuni l’offesa si faceva più pesante con l’appellativo di «profugo» ovvero straniero (con il sotto pensiero di aver preso una casa operaia e il lavoro agli italiani). Poi le cose sono migliorate ed in alcuni casi sono cresciute delle vere amicizie e per un mio fratello, bravo nel calcio, (a quindici anni è andato a giocare a Pistoia, a Firenze e infine a Portoferraio) anche molti elogi e la soddisfazione di mio padre che mi chiedeva di accompagnarlo a vedere le partite nelle città più vicine alla nostra e ritagliava gli articoli delle pagine sportive dei giornali locali. Ricordo con soddisfazione di essere riuscito a far andare mio padre ad un incontro nazionale di esuli nella sua città di Fiume (in una settimana ho avuto il passaporto) ma ricordo anche la sua tensione (paura!) di questo viaggio.

I nostri genitori del loro esodo non ci parlavano

Mi sono avvicinato al mondo degli esuli, dopo che mio padre è deceduto e quando ho avuto le mie possibilità economiche. Nell’anno 1976 ho chiesto ad una mia cugina che andava con mia zia nell’isola di Veglia se mi potevo aggregare e così con la mia prima auto (una Fiat 127 bianca) sono andato a visitare dove hanno vissuto sia mio padre che mia madre, l’esperienza è stata positiva; un mare stupendo, un paesaggio bello; ho conosciuto alcuni parenti che avevano la parlata istro-veneta ma ho anche visto la vita diversa che avevano: i negozi di tutti i generi (alimentari, banche, eccetera) avevano la foto di Tito in bella mostra.

In una libreria locale ho l’occasione di compare il libro dello storico di Errigo Petacco L’esodo. L’ho letto in poco tempo e di lì ho cominciato a conoscere di più la storia vissuta dai miei genitori e da mia sorella e noi fratelli e la storia degli esuli, delle foibe, dei rimasti, del mio cognome, la storia del confine orientale. Mi sono ritornati alla mente alcune episodi della mia infanzia e della mia gioventù.

Ho conosciuto l’Associaizone nazionale Venezia Giulia Dalmazia di Massa Carrara, ho partecipato alle loro iniziative, ho incontrato alcuni esuli che hanno conosciuto i miei genitori e hanno passato con loro alcuni periodi nel Crp di Marina di Massa tra quali il mio padrino di battesimo che in famiglia chiamavano in dialetto «nozulo».

Per il mondo degli esuli una svolta significativa è stata l’approvazione delle legge n. 92 del 30 marzo 2014 con l’«Istituzione del Giorno del ricordo» in memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale e concessione di un riconoscimento ai congiunti infoibati: «art. 1 la Repubblica riconosce il 10 febbraio quale Giorno del ricordo».

Lo Stato italiano, dopo anni di silenzio, riconosceva ufficialmente la tragedia dei 350.000 italiani che hanno dovuto lasciare le loro terre dell’Istria, della Dalmazia, di Fiume, e delle Venezia Giulia.

Noi figli di esuli abbiamo l’obbligo di proseguire per far conoscere il dramma dell’esodo, del sacrifico di vite umane uccise nelle foibe solo perché italiani o perché rappresentavo l’Italia e diversi sacerdoti per la loro fede cristiana. Da anni l’Anvgd viene chiamata nelle scuole (soprattutto superiori) per raccontare la storia orientale dell’Italia, di come si viveva nei 120 Campi di raccolta profugli sparsi in tutto il paese e di come alcuni di loro hanno servito la nazione con la loro intelligenza, con il loro lavoro (tra questi: Abdon Pamich, campione olimpico di marcia; Orlando Sirola, tennista; Mario Andretti, pilota di Formula Uno; Nino Benvenuti, pugile; Sergio Endrigo, cantante; Ottavio Missoni, stilista; Alida Valli, attrice; Laura Antonelli, attrice; Luigi Dellapiccola, compositore e pianista; Enzo Bettiza, giornalista; Giorgio Gaber, cantante; Leo Valiani, storico e uomo politico e tanti altri).

Dal 2000 ogni anno vado in Istria, Dalmazia e a Fiume

*figlio di esuli