Marco Stecchi: «Piacere, Figaro»!

Di barbieri di qualità, di rossiniana memoria, ce ne sono tanti. Fra i grandi, Marco Stecchi.

Incontro il baritono nella sua casa sulle colline intorno a Greve in Chianti. Oltre 90 anni, elegante e distinto, alto e dritto come un fuso, sorriso aperto e cordiale, occhi chiari e limpidi, Marco mi viene incontro tenendo per mano la moglie An Roos. Lei, apprezzata regista, non lo lascerà un momento, sempre guardandolo sorridente e aiutandolo a ricordare nomi e particolari della sua carriera. Una bellissima coppia, affiatata e innamorata.

Come fu scoperto un talento

Stecchi è nato a Greve e qua è rimasto, fedele alle sue radici, nonostante il successo e la fama lo abbiano portato a cantare nei teatri di tutta Italia (anche nella provincia più remota) e del mondo.

I genitori, Italo e Tina, erano entrambi appassionati di lirica (e Italo, il farmacista del paese, era anche un bravo attore filodrammatico). Tina, amica della famiglia Bechi, era madrina della figlia di Gino. E fu proprio il leggendario Figaro fiorentino a scoprire il talento del giovane Marco, quando questi lo imitava nella cavatina: «ma che, mi vuoi copiare?», «no, ti voglio migliorare». E da una battuta è iniziato un lungo cammino.

Fra i primi estimatori, anche Titta Ruffo che ne parlò come «fulgida speranza del teatro italiano, dotato da madre natura di bellissima voce».

Marco studiò al Conservatorio di Milano con Ettore Campogalliani, maestro di tanti miti (Tebaldi, Freni, Raimondi, per esempio). Con lui Stecchi fece i primi concerti a Mantova e Parma, insieme a un giovane tenore di belle speranze: Luciano Pavarotti.

La carriera di una voce facilissima

E venne il debutto nell’opera. Era il 1956 e Marco cantò come Marcello in Bohème al Teatro Nuovo di Milano. Stesso ruolo all’Eliseo di Roma, dove ad ascoltarlo c’era l’impresario inglese Roworth che subito gli propose una tournée di tre mesi in Inghilterra, con Bohème e Traviata. Da lì cominciò la carriera che, soprattutto come Figaro, lo ha fatto conoscere ovunque.

Una fortuna è stato il dono di «una voce “facilissima”: avevo un “bottoncino”, qui sulla gola; al bisogno lo premevo e cominciavo a cantare senza problemi. Non ho mai perso una recita e ne ho salvate tante, per sostituire colleghi ammalati: “tanto Stecchi è sempre pronto”, questo era il ritornello».

In Belgio

Marco ha cantato molto in Belgio: a Bruxelles, in tournée con il Regio di Parma, al Théâtre Royale de la Monnaie, e a Gent. Qui arrivò la prima volta da Ivrea dove lo aveva raggiunto una telefonata: il baritono era indisposto; poteva Stecchi sostituirlo in Figaro il giorno dopo? Stecchi poteva. Come sempre.

La mattina prese un aereo e arrivò a Zurigo. In attesa del volo per Bruxelles, ebbe fame; al ristorante dell’aeroporto gli servirono spaghetti con le amarene; guardandoli perplesso, Marco si disse: «chissà come canto stasera…».

Atterrato nella capitale belga, un’auto lo portò a Gent. Erano le sei. Chiese di andare in albergo per mangiare un boccone. Richiesta respinta, perché lo spettacolo iniziava alle 7,30. Di volata lo portarono in teatro, gli arrangiarono un costume lì per lì, si confrontò qualche minuto con il direttore e via!, sul palcoscenico. Durante la cavatina, le amarene gli ballavano in pancia, ma il successo fu immediato e clamoroso. Divenne il beniamino di Gent. Vi fece anche Rigoletto, Luisa Miller, Ballo in Maschera, Trovatore, Nabucco.

Sempre a Gent fu fatidico il 1972: dopo Pagliacci, in un bar vide una fanciulla bionda; Marco indica la moglie: «studiava da regista. Da lì, eccola qui». Gli occhi di entrambi sono lucidi e ridenti.

Una famiglia poliedrica

Gli Stecchi di Greve, una famiglia poliedrica: cantanti, farmacisti, attori e registi. Da notare che Paolo, uno dei figli di Marco, aveva iniziato la carriera di cantante lirico, baritono anche lui. Si esibì insieme al padre in Rigoletto al Metastasio di Prato: il babbo nel ruolo del titolo e il figlio in quello di Monterone. Dopo la Vendetta, ci furono richieste di bis, che tanti volevano ricominciasse con le frasi di Monterone: Paolo era stato apprezzato.

Ma la sua carriera finì presto: la ghiandola del timo che con la crescita quasi si atrofizza, in lui era rimasta intatta, la voce ne risentì e dovette abbandonare le scene.

Potevano mancare gli atleti in famiglia? Eccoli: Gianni e Claudio, figlio e nipote di Marco, due specialisti nel salto con l’asta; Gianni nel 1987 stabilì, con 5 metri e 60 centimetri il primato italiano. Suo figlio Claudio lo ha superato alla grande: 5,80. È giovane, ma non è una speranza, è una realtà.

Ciliegina sulla torta: Gianni è anche scrittore: Leonardo e il mistero del salone dei 500, edito da Sassoscritto, è il suo romanzo ambientato tra la Firenze dei giorni nostri e quella del Quattrocento.

La farmacia: una sicurezza

La farmacia rimane il fil rouge della famiglia, come narra Marco: «il mio babbo, farmacista e appassionato di lirica, quando cominciai a cantare, mi disse “canta pure, ma prima ti laurei in farmacia: non si sa mai”. La stessa cosa ho fatto con Gianni e Paolo, anche loro dottori in farmacia. E dato che in carriera, ho guadagnato qualcosa, ho potuto comprare loro la farmacia di Greve dove lavorano».

Un artista con i piedi per terra.